giovedì 14 giugno 2007

Cicerone - Le catilinarie (in italiano)

Cicerone: Contro Catilina

CONTRO L. CATILINA I


I 1 Fino a che punto, Catilina, approfitterai della nostra pazienza? Per
quanto tempo ancora la tua pazzia si farà beffe di noi? A che limiti si
spingerà una temerarietà che ha rotto i freni? Non ti hanno turbato il
presidio notturno sul Palatino, le ronde che vigilano in città, la paura
della gente, l'accorrere di tutti gli onesti, il riunirsi del Senato in
questo luogo sorvegliatissimo, l'espressione, il volto dei presenti? Non
ti accorgi che il tuo piano è stato scoperto? Non vedi che tutti sono a
conoscenza della tua congiura, che la tengono sotto controllo? O ti illudi
che qualcuno di noi ignori cos'hai fatto ieri notte e la notte ancora
precedente, dove sei stato, chi hai convocato, che decisioni hai preso?
2 Questi i tempi! Questo il malcostume! Il Senato conosce l'affare, il
console lo vede, ma lui è vivo. È vivo? Addirittura si presenta in Senato,
prende parte alla seduta, indica e marchia con lo sguardo chi ha destinato
alla morte. E noi, uomini di coraggio, crediamo di fare abbastanza per lo
Stato se riusciamo a schivare i pugnali di un pazzo! A morte, Catilina,
già da tempo dovevamo condannarti per ordine del console e ritorcerti
addosso la rovina che da tempo prepari contro noi tutti! 3 Ma come? Un
uomo della massima autorità come Publio Scipione, il pontefice massimo,
fece uccidere senza mandato pubblico Tiberio Gracco, che minacciava solo
in parte la stabilità dello Stato, e noi consoli dovremo continuare a
sopportare Catilina, smanioso di distruggere, di mettere a ferro e a fuoco
il mondo intero? Non voglio ricordare il passato, episodi come quello di
Caio Servilio Ahala che uccise con le sue mani Spurio Melio, il
rivoluzionario. Ci fu, ci fu un tempo tanto valore nello Stato che uomini
impavidi punivano il concittadino ribelle con maggiore severità del più
implacabile dei nemici! Abbiamo un decreto senatoriale contro di te: è di
estrema durezza. Allo Stato non mancano né l'intelligenza né la fermezza
dell'ordine senatorio: manchiamo noi, noi, i consoli, lo dico apertamente.
II 4 Decretò un tempo il Senato di affidare al console Lucio Opimio il
compito di vigilare sulla sicurezza dello Stato. Non passò una notte e fu
soppresso Caio Gracco, per quanto suo padre, suo nonno e i suoi avi
fossero stati uomini gloriosi, solo perché era sospettato di sovversione;
anche l'ex console Marco Fulvio fu ucciso insieme ai figli. Con un analogo
decreto senatoriale furono affidati i pieni poteri ai consoli Caio Mario e
Lucio Valerio. Si ritardò forse di un solo giorno l'esecuzione del tribuno
della plebe Lucio Saturnino e del pretore Caio Servilio? Eppure da venti
giorni lasciamo che si spunti la lama del potere senatoriale. Anche noi
disponiamo di un decreto del Senato, ma è chiuso in archivio, come una
spada nel fodero. In applicazione a questo decreto dovresti essere già
morto, Catilina. Invece sei vivo. Sei vivo non per rinunciare alla tua
folle impresa, ma per portarla avanti! Desidero, padri coscritti, esser
clemente. Ma non desidero che si pensi che sottovaluto la situazione di
estremo pericolo in cui versa lo Stato: perciò, sono il primo ad accusarmi
di inerzia e di debolezza. 5 In Italia, nelle gole dell'Etruria, c'è un
esercito accampato contro il popolo romano. Cresce di giorno in giorno il
numero dei nemici. Ma il capo di quell'esercito, il comandante dei nemici
lo vediamo dentro le nostre mura, anzi, eccolo qui in Senato a preparare,
giorno dopo giorno, la rovina interna dello Stato. Se, Catilina, subito
ordinassi il tuo arresto e la tua condanna a morte, probabilmente dovrei
temere di essere criticato da tutti gli onesti per i miei indugi, non per
la mia inflessibilità.
Se, però, non mi decido ancora a fare quel che già da tempo era
necessario, ho le mie buone ragioni. Morirai solo quando non ci sarà un
uomo così corrotto, così perduto, così simile a te da non ammettere che ho
agito secondo la legge. 6 Finché esisterà qualcuno che avrà il coraggio di
difenderti, vivrai, sì, ma così come stai vivendo adesso: assediato dalle
mie guardie, forti e numerose, che ti impediranno di attentare allo Stato.
E poi, gli occhi, le orecchie di molti ti spieranno, ti sorveglieranno
così come hanno fatto finora. E tu non te ne accorgerai.
III Allora, Catilina, cosa aspetti ancora se il buio della notte non può
nascondere le tue empie riunioni, se neppure le pareti di un'abitazione
privata possono contenere le voci della congiura, se tutto emerge, viene
alla luce? Cambia idea ormai, dammi retta; dimentica massacri e incendi.
Sei braccato da ogni parte. Tutto il tuo piano ci è più chiaro della luce
del sole. Se vuoi, ripercorriamolo insieme.
7 Ricordi? Il 21 ottobre ho dichiarato in Senato che in un giorno ben
preciso, cioè il 27 ottobre, Caio Manlio, tuo complice e collaboratore in
questa pazzia, avrebbe dato inizio alla rivolta armata. Mi sono forse
sbagliato, Catilina, non dico su un'azione di tali proporzioni, così
atroce e incredibile, ma, cosa molto più sorprendente, sulla sua data?
Sono stato sempre io a denunciare in Senato che avevi stabilito di
massacrare gli aristocratici il 28 ottobre, giorno in cui molti dei
principali cittadini sono fuggiti da Roma non per cercare scampo, ma per
fermare i tuoi piani. Puoi forse negare che proprio quel giorno, bloccato
dalle mie misure difensive, non hai potuto attentare allo Stato? E quel
giorno non dicevi che ti saresti accontentato di uccidere me, che ero
rimasto, mentre tutti gli altri erano partiti? 8 E quando eri convinto di
occupare Preneste di notte, con un colpo di mano, il 1° novembre, non ti
sei accorto che, su mio ordine, quella colonia aveva ricevuto i rinforzi
della mia guarnigione, delle mie guardie, delle mie sentinelle? Nulla di
quanto fai, ordisci, mediti, sfugge alle mie orecchie e ai miei occhi,
tanto meno alla mia mente.
IV Rievochiamo insieme i fatti dell'altra notte: capirai subito che sono
più risoluto io nel vegliare sulla sicurezza dello Stato che tu sulla sua
rovina. Denuncio che l'altra notte ti sei recato in via dei Falcarii (non
lascerò nulla nell'ombra) in casa di Marco Leca, dove si erano riuniti
molti complici della tua pazzia, della tua scelleratezza. Osi negarlo?
Perché taci? Te lo dimostrerò, se neghi. Vedo, infatti, che sono qui in
Senato alcuni uomini che erano con te. 9 O dèi immortali! In che parte del
mondo ci troviamo? Che governo è il nostro? In che città viviamo? Qui,
sono qui in mezzo a noi, padri coscritti, in questa assemblea che è la più
sacra, la più autorevole della terra, individui che meditano la morte di
tutti noi, la fine di questa città o piuttosto del mondo intero. Io, il
console, li vedo e chiedo il loro parere su questioni politiche: uomini
che bisognava fare a pezzi con la spada, non li ferisco nemmeno con la
parola.
Così, Catilina, sei stato da Leca, quella notte. Hai diviso l'Italia tra i
tuoi; hai stabilito la destinazione di ciascuno; hai scelto chi lasciare a
Roma e chi condurre con te; hai fissato quali quartieri della città
dovevate incendiare; hai confermato la tua partenza imminente; hai detto
che avresti aspettato ancora un po' perché ero vivo. Sono stati trovati
due cavalieri disposti a liberarti di questa incombenza e a prometterti di
uccidermi nel mio letto, quella notte stessa, poco prima dell'alba. 10 Ho
saputo tutto non appena avete sciolto la riunione. Allora ho protetto,
difeso casa mia con misure più efficaci; non ho fatto entrare chi, al
mattino, avevi inviato a salutarmi: avevo del resto preannunciato a molti
autorevoli cittadini che, per quell'ora, costoro si sarebbero recati da
me.
V Se le cose stanno così, Catilina, porta a termine quanto hai cominciato!
Lascia una buona volta la città! Le porte sono aperte. Vattene!
L'accampamento di Manlio, il tuo accampamento, da troppo tempo aspetta te,
suo generale. Porta via anche tutti i tuoi; se non tutti, quanti più puoi.
Purifica la città! Mi libererai da una grande paura quando ci sarà un muro
tra me e te. Non puoi più stare in mezzo a noi! Non intendo sopportarlo,
tollerarlo, permetterlo.
11 Dobbiamo grande riconoscenza agli dèi immortali e a Giove Statore,
antichissimo custode della nostra città, per essere sfuggiti ormai molte
volte a un flagello così spaventoso, orribile, abominevole per lo Stato.
Un solo individuo non dovrà più metterne a repentaglio l'esistenza.
Finché, Catilina, hai attentato alla mia vita, quando ero console
designato, mi sono difeso ricorrendo a misure private, non alla forza
pubblica. Quando poi, in occasione degli ultimi comizi consolari, in pieno
Campo Marzio hai cercato di uccidere me, il console, e i tuoi competitori,
ho sventato i tuoi tentativi criminali con la protezione e la forza di
amici, senza suscitare disordini pubblici. Infine, tutte le volte che hai
sferrato un colpo contro di me, l'ho parato con le mie forze: eppure
vedevo che la mia fine avrebbe comportato una grave calamità per lo Stato.
12 Ma ormai attacchi apertamente tutto lo Stato; vuoi portare alla totale
distruzione i templi degli dèi immortali, gli edifici di Roma, la vita di
tutti i cittadini, l'Italia intera. Perciò, dal momento che non oso ancora
fare quel che sarebbe urgente e rientrerebbe nei poteri della mia carica e
nella tradizione degli antenati, prenderò un provvedimento meno severo, ma
più utile alla sicurezza comune. Se infatti ti condannerò a morte, rimarrà
nello Stato il gruppo dei congiurati. Ma se tu, come ti esorto da tempo,
te ne andrai, la città si libererà dei tuoi numerosi e infami complici,
fogna dello Stato. 13 E allora, Catilina? Esiti a fare su mio ordine quel
che stavi per fare di tua volontà? Il console ingiunge al nemico di
lasciare la città. «È esilio», mi chiedi? No, non te lo posso ordinare,
ma, se vuoi il mio parere, te lo suggerisco.
VI Del resto, Catilina, cosa può ancora piacerti in questa città, dove non
c'è nessuno che non ti tema, nessuno che non ti detesti, tranne gli uomini
perduti che aderiscono alla tua congiura? Quale marchio di degradazione
morale non è impresso a fuoco sulla tua vita? Quali scandali privati non
si legano al tuo nome? Quale oscenità si è mai tenuta lontana dai tuoi
occhi, quale delitto dalle tue mani, quale indecenza dal tuo corpo? C'è
giovane, da te irretito nei piaceri della depravazione, a cui tu non abbia
consegnato il pugnale dell'omicidio o la fiaccola di amori perversi? 14 E
ancora: poco tempo fa, quando ti sei sbarazzato della tua prima moglie per
poterti risposare, non hai forse aggiunto a questo un secondo
inconcepibile delitto? Non intendo soffermarmi; preferisco tacere perché
non sembri che nella nostra città è stato commesso un crimine tanto immane
ed è rimasto impunito. Non intendo parlare del tuo dissesto finanziario,
che sentirai pesarti addosso alla prossima scadenza dei debiti. Vengo
piuttosto a fatti che non riguardano i vergognosi vizi della tua vita
privata, né le tue difficoltà economiche, né la tua immoralità, ma gli
interessi superiori dello Stato, la vita e la sicurezza di tutti noi.
15 Come puoi apprezzare, Catilina, la luce o l'aria di questo cielo quando
sai che nessuno dei presenti ignora che il 31 dicembre dell'anno del
consolato di Lepido e Tullo ti sei presentato armato nel comizio, che
avevi predisposto un gran numero di uomini per uccidere i consoli e i
maggiori esponenti della città e che alla tua folle impresa non si è
opposto un tuo ripensamento o una tua paura, ma la Fortuna del popolo
romano? Ebbene, sorvolo anche su questi fatti: non sono ignoti e in
seguito ne hai commessi molti altri. Quante volte hai attentato alla mia
vita quando ero console designato! Quante volte quando ero entrato in
carica! A quanti attacchi sono sfuggito con un leggero scarto del corpo,
come si dice, ed erano diretti in modo da sembrare infallibili! Non
concludi nulla, non ottieni nulla, eppure non desisti dal tentare e dal
volere. 16 Quante volte ormai questo pugnale ti è stato strappato dalle
mani! Quante volte, per caso, ti è caduto, ti è scivolato a terra! [ma non
te ne stacchi neppure un momento] A quali misteri tu lo abbia consacrato e
dedicato io non so, dal momento che ritieni inevitabile piantarlo nel
corpo del console. VII Dimmi: che vita è adesso la tua? Ti parlerò, ormai,
non come se fossi mosso dall'odio, eppure dovrei, ma da una compassione di
cui non sei affatto degno. Poco fai sei venuto in Senato. In un'assemblea
così affollata, tra tanti amici e conoscenti, chi ti ha salutato? Se, a
memoria d'uomo, nessuno è stato mai trattato così, ti aspetti forse parole
di ingiuria quando già sei schiacciato dal durissimo giudizio del
silenzio? Che dire di più? Al tuo arrivo questi seggi si sono svuotati.
Non appena hai preso posto, tutti gli ex consoli, che tu hai condannato a
morte tante volte, hanno lasciato vuoto, deserto questo settore dei
banchi. Insomma, con che animo pensi di sopportare?
17 Se, ai miei servi, incutessi tanta paura quanta tu ne incuti alla
cittadinanza intera, riterrei inevitabile lasciare la mia casa. E tu non
pensi di dover lasciare la città? Se poi mi accorgessi di essere, anche a
torto, gravemente sospettato e disprezzato dai miei concittadini,
preferirei sottrarmi alla loro vista piuttosto che essere oggetto di
sguardi di disapprovazione. Tu, invece, che sei consapevole dei tuoi
crimini e riconosci che l'odio di tutti è giusto e meritato da tempo,
esiti a sottrarti alla vista, alla presenza di chi ferisci nella mente e
nel cuore? Se i tuoi genitori provassero paura di te e ti odiassero, se tu
non potessi in alcun modo riconciliarti con loro, scompariresti dalla loro
vista, immagino. Ora a odiarti e ad aver paura di te è la patria, madre
comune di tutti noi, e già da tempo ritiene che tu non mediti altro che la
sua morte. E tu non rispetterai la sua autorità, non seguirai il suo
giudizio, non avrai paura della sua forza? 18 Catilina! La patria ti si
presenta innanzi e, senza bisogno di parole, ti dice: «Da anni, ormai, non
c'è delitto che non sia stato commesso se non da te, non c'è scandalo
senza di te. Per te soltanto il massacro di molti cittadini, per te
ruberie e soprusi a danno degli alleati sono state azioni libere e
impunite. Tu non solo sei stato capace di trasgredire alla legge e alla
giustizia, ma addirittura di sovvertirle, di annientarle. Sono cose del
passato. Benché non fossero tollerabili, tuttavia le ho sopportate, come
ho potuto. Ora, però, che io sia completamente terrorizzata solo a causa
tua, che si tema Catilina al minimo rumore, che si abbia l'impressione che
qualsiasi complotto contro di me non sia alieno dalla tua mente criminale,
ebbene non intendo sopportarlo! Perciò vattene e liberami da questa paura,
perché non ne sia schiacciata, se è vera, o smetta di temere, se è
infondata!».
VIII 19 Se la patria, come ho detto, ti parlasse così, non dovresti
obbedirle anche se non potesse ricorrere alla forza?
Cosa dici? Ti sei consegnato agli arresti domiciliari? Hai chiesto di
andare ad abitare da Lepido per evitare i sospetti? Respinto da Lepido,
hai osato venire addirittura da me e mi hai pregato di tenerti agli
arresti in casa mia. Ma anche da me hai ricevuto la stessa risposta: non
mi sarei sentito per nulla al sicuro a dividere con te le stesse pareti
domestiche, quando già corriamo gravi pericoli dentro le mura della stessa
città. Ti sei rivolto allora al pretore Quinto Metello. Rifiutato pure da
lui, ti sei rivolto al tuo amico Marco Metello, un uomo davvero
eccellente, che tu giudicavi, evidentemente, il più scrupoloso nel
sorvegliarti, il più acuto nel sospettarti, il più severo nel punirti. Ma
chi ritiene di dover meritare gli arresti, non sembra ben lontano dal
dover essere condannato al carcere? 20 Poiché le cose stanno così,
Catilina, se non sai rassegnarti a morire, cosa aspetti a espatriare, a
consegnare all'esilio e alla solitudine una vita sottratta a molte,
giuste, meritate pene?
«Fai un rapporto al Senato», dici. È questo che chiedi e ti dichiari
pronto a obbedire se il Senato decidesse di esiliarti. Non lo presenterò:
sarebbe incompatibile col mio carattere. Tuttavia ti farò capire cosa
pensano di te i presenti. Vattene dalla città, Catilina! Libera lo Stato
dal terrore! Se non aspetti che questa parola, parti in esilio! E allora?
Non vedi, non ti accorgi del loro silenzio? Sopportano, tacciono. Perché
attendi la conferma della parola, quando ti è chiaro il significato del
loro silenzio? 21 Se avessi rivolto le stesse parole a un giovane perbene
come Publio Sestio, qui presente, o a un uomo così valoroso come Marco
Marcello, il Senato, a ragione, mi avrebbe subito attaccato, assalito con
la forza, benché sia console, anche in un luogo sacro come questo. Ma nel
tuo caso, Catilina, la loro calma è un'approvazione, la loro sopportazione
un giudizio, il loro silenzio un grido. Il che vale per i senatori, la cui
autorità ti è certamente cara, ma della cui vita non hai il minimo
rispetto, ma vale anche per i cavalieri, uomini del massimo onore e
valore, e per tutti gli altri coraggiosi cittadini che circondano il
Senato. Hai potuto vedere quanti sono, capirne le intenzioni e, poco fa,
udirne le voci. A stento trattengo da te le loro mani e le loro armi, ma
facilmente li convincerei ad accompagnarti sino alle porte della città se
ti decidessi a lasciare questi luoghi che da tempo vuoi distruggere.
IX 22 Ma a che servono le mie parole? A piegarti, in qualche modo? A farti
ricredere? A indurti a preparare la fuga, a pensare all'esilio? Potessero
gli dèi immortali ispirarti tali propositi! Ma non mi illudo: se tu
decidessi di andare in esilio spaventato dal mio discorso, una tremenda
tempesta di impopolarità si abbatterebbe su di me, se non subito, essendo
vivo il ricordo dei tuoi crimini, certamente in futuro! Ma è il prezzo da
pagare, purché tale calamità ricada su me solo e non comporti pericoli per
lo Stato. Non è il caso di chiederti di provar rimorso per i tuoi vizi, di
temere le pene previste dalla legge, di avere dei ripensamenti di fronte
alle difficoltà in cui versa lo Stato. Non sei infatti il tipo, Catilina,
da astenerti dall'infamia per pudore, dal pericolo per paura, dalla follia
per ragionevolezza. 23 Perciò parti, te l'ho ripetuto più volte, e se vuoi
scatenarmi contro la disapprovazione pubblica, perché sono un tuo nemico,
come affermi, vattene dritto in esilio! Non mi sarà facile sopportare le
critiche della gente, se lo farai; non mi sarà facile sostenere il peso
dell'impopolarità, se andrai in esilio per ordine del console. Ma se
preferisci contribuire alla mia lode e gloria, vattene con quell'infame
branco di scellerati, raggiungi Manlio, chiama alla rivolta i cittadini
disperati, sepàrati dagli onesti, dichiara guerra alla patria, esulta nel
tuo empio banditismo! Non sembrerà, allora, che io ti abbia cacciato tra
stranieri, ma che ti abbia invitato a raggiungere i tuoi.
24 Invitarti? E perché dovrei farlo, quando so che hai già mandato alcuni
ad aspettarti armati a Foro Aurelio? E che hai stabilito con Manlio la
data del vostro incontro? E che hai inviato anche quell'aquila d'argento
che mi auguro porti la rovina, la morte a te e a tutti i tuoi,
quell'aquila cui hai eretto un sacello scellerato in casa tua? Puoi
privartene per un po' tu che avevi l'abitudine di adorarla prima di andare
ad ammazzare qualcuno, tu che muovevi la destra sacrilega dal suo altare
per abbatterla su un cittadino?
X 25 Raggiungerai una buona volta il luogo dove da tempo ti spinge questa
tua smania sfrenata e assurda! Il che non ti arreca dispiacere, ma una
sorta di incredibile voluttà. A una tale follia ti ha generato la natura,
ti ha esercitato la volontà, ti ha preservato la sorte! Non hai mai
desiderato la pace, ma neppure la guerra, a meno che non fosse illecita.
Hai trovato per caso un gruppo di delinquenti, gente perduta, dimenticata
non solo dal destino, ma anche dalla speranza. 26 Che gioia proverai con
loro! Di quale piacere sarai pervaso! Quale delirante ebbrezza ti prenderà
quando, tra tanti complici, non sentirai né vedrai un solo uomo onesto! In
ossequio a questa vita si produssero gli sforzi di cui si parla: giacere
sulla nuda terra per preparare una violenza, anzi, per commettere un
delitto, passare la notte a insidiare il sonno dei mariti, anzi, i beni
dei pacifici cittadini. Hai l'occasione di mostrare la tua famosa
resistenza alla fame, al freddo, alle privazioni che tra poco, te ne
accorgerai, ti stroncheranno. 27 Ho ottenuto almeno questi due risultati,
impedendo la tua elezione a console: puoi, attaccare lo Stato da esule, ma
non puoi sovvertirlo da console; il tuo tentativo scellerato è chiamato
banditismo, non guerra.
XIOra, padri coscritti, ascoltate con attenzione le mie parole, vi prego,
e fissatele nel profondo del vostro animo, perché io possa stornare da me
il rimprovero, giusto in un certo senso, che la patria potrebbe
rivolgermi. Se la patria, che mi è molto più cara della vita, se l'Italia
intera, se la repubblica mi dicessero: «Marco Tullio, che fai? Hai
scoperto che costui è un nemico, intuisci che sarà lui a condurre la
guerra, sai che è atteso come comandante supremo nel campo nemico, che è
l'ideatore del crimine, il capo della congiura, l'istigatore degli schiavi
e l'agitatore dei cittadini perduti. Lo lascerai partire? Darai
l'impressione di non averlo espulso da Roma, ma di averlo spinto contro
Roma? Non darai l'ordine di arrestarlo, di trascinarlo al supplizio, di
punirlo con la morte? 28 Che cosa te lo impedisce? La tradizione degli
avi? Eppure più volte, in questo Stato, sono stati condannati a morte dei
cittadini pericolosi senza mandato pubblico. O te lo impediscono le leggi
sull'esecuzione capitale dei cittadini romani? Eppure, a Roma, i ribelli
non hanno mai conservato i diritti civili! O temi la disapprovazione dei
posteri? Dimostri davvero profonda riconoscenza verso il popolo romano -
che, magistratura dopo magistratura, ben presto ha elevato al consolato
te, un uomo che si distingueva solo per i suoi meriti, ma era privo della
garanzia di una famiglia nobile - se per paura di diventare impopolare o
di correre dei rischi trascuri la salvezza dei tuoi concittadini. 29 Ma se
il timore di subire una tale impopolarità è fondato, devi forse temere di
esser criticato più per la tua inflessibilità che per la tua debolezza? O
ti illudi di sottrarti alle fiamme dell'impopolarità quando l'Italia sarà
devastata dalla guerra, le città sconvolte, le case bruciate?». XII Alle
autorevolissime parole della repubblica e agli uomini che condividono
queste idee risponderò brevemente. Io, padri coscritti, se avessi pensato
che la scelta migliore da farsi fosse di mandare a morte Catilina, non
avrei permesso a un delinquente come lui di vivere un'ora di più. Se
infatti i cittadini più autorevoli e illustri non si sono macchiati del
sangue di Saturnino, dei Gracchi, di Flacco e di tanti altri in passato,
se, al contrario, si sono coperti di onore, certamente non avrei dovuto
temere che la disapprovazione dei posteri ricadesse su di me per aver
eliminato uno che assassina i suoi concittadini. E se anche corressi un
tale pericolo, non cambierei idea: l'impopolarità nata dal valore è
gloria, non impopolarità.
30 Eppure ci sono alcuni, qui in Senato, che non vedono cosa sta per
abbattersi su di noi oppure fingono di non vedere quel che hanno sotto gli
occhi; alcuni che hanno alimentato con la condiscendenza le aspettative di
Catilina e rafforzato con l'incredulità una congiura nascente! Facendosi
scudo dell'autorità di questi, molti, non solo disonesti, ma anche
ingenui, avrebbero detto che agivo con la crudeltà di un tiranno se lo
avessi punito. Ma ora mi rendo conto che se Catilina raggiungerà
l'accampamento di Manlio, dove intende dirigersi, nessuno sarà così
stupido da non capire che è stata organizzata una congiura, nessuno sarà
così disonesto da non ammetterlo. E se lui solo verrà ucciso, mi rendo
conto che riusciremo a contenere questo flagello per un po', ma non a
debellarlo per sempre. Se invece partirà, se si porterà dietro i suoi, se
riunirà nella stessa località tutti gli altri disperati che ha raccolto da
ogni dove, non solo verrà completamente estirpato il flagello che è tanto
cresciuto nello Stato, ma pure la radice e il seme di ogni male.
XIII 31 Da molto tempo, padri coscritti, siamo in balia dei pericoli e
delle insidie della congiura, ma, non so come, il culmine di ogni
scelleratezza, di antiche e folli ribellioni è stato raggiunto nel periodo
del mio consolato. Se, di questa banda, soltanto lui verrà eliminato,
forse per qualche tempo crederemo di esserci liberati dall'angoscia e
dalla paura; ma il pericolo rimarrà, nascosto nelle vene e nelle viscere
dello Stato. Come spesso i malati gravi, quando sono assaliti dalle
vampate della febbre, credono di trovar ristoro bevendo acqua gelida, ma
finiscono per aggravarsi, così la malattia che colpisce lo Stato sarà
alleviata con la condanna di Catilina, ma si aggraverà se sarà concessa
agli altri la vita.
32 Perciò se ne vadano i colpevoli! Si separino dagli onesti! Si
raccolgano in uno stesso luogo! Un muro, infine, li divida da noi, come ho
detto più volte! Smettano di attentare alla vita del console nella sua
casa, di accalcarsi intorno al palco del pretore urbano, di assediare,
armi un pugno, la Curia, di preparare proiettili e torce per incendiare la
città! Insomma, ciascuno porti scritta in fronte la sua opinione politica!
Questo vi prometto, padri coscritti: ci sarà tanto impegno in noi consoli,
tanta autorità in voi senatori, tanto valore nei cavalieri, tanta
unanimità in tutti i cittadini onesti che, con la partenza di Catilina,
vedrete ogni cosa svelata, messa in luce, repressa, punita. 33 Con questi
presagi, Catilina, per la salvezza suprema dello Stato, perché tu e coloro
che si sono legati a te in ogni crimine e omicidio andiate incontro alla
morte più orrenda, parti per la tua guerra empia e nefasta! Tu, Giove, il
cui culto fu istituito da Romolo con gli stessi auspici con cui fondò
Roma, tu che a ragione sei chiamato protettore di questa città e
dell'impero, difendi da questo individuo e dai suoi complici i templi tuoi
e degli altri dèi, le case e le mura della città, la vita e i beni di
tutti i cittadini! Punisci con supplizi eterni, nella vita e nella morte,
questi uomini avversari degli onesti, nemici della patria, predoni
dell'Italia, che un patto criminoso e una complicità di morte hanno legato
insieme!


CONTRO L. CATILINA II


I 1 Finalmente, Quiriti, Lucio Catilina, pazzo nella sua audacia, ansante
nel suo crimine, empiamente teso a ordire la rovina della patria, a
minacciare col ferro e col fuoco voi e questa città, lo abbiamo cacciato
da Roma, o, se volete, lo abbiamo lasciato partire, o, meglio ancora, lo
abbiamo accompagnato alla partenza con i nostri saluti. È andato, partito,
fuggito, sparito. Quell'essere spaventoso non provocherà più alcuna
catastrofe dentro le mura contro le stesse mura! Lui, il solo capo della
guerra civile, lo abbiamo vinto: non ci sono dubbi. Il suo pugnale non ci
insidierà più al fianco. Nel Campo Marzio, nel Foro, nella Curia, tra le
pareti domestiche non saremo più in preda al terrore. Cacciandolo dalla
città, gli abbiamo fatto perdere la sua posizione. Apertamente, ormai,
combatteremo contro il nemico una guerra regolare: nessuno ce lo impedirà.
È indiscutibile che lo abbiamo annientato con una vittoria strepitosa,
costringendolo a uscire da trame occulte e a portare allo scoperto la sua
azione di bandito. 2 Non ha levato in alto una spada lorda di sangue, come
voleva. Se n'è andato e noi siamo vivi. Gli abbiamo strappato il ferro
dalle mani. Ha lasciato incolumi i cittadini e in piedi la città. Vi
rendete conto di come sia abbattuto, prostrato da questa delusione? Ora è
a terra vinto, Quiriti, si sente colpito e annientato e di certo volge
spesso gli occhi a questa città che gli è stata strappata dalle fauci e se
ne dispera. Ma la città mi sembra lieta di aver vomitato un male così
grande, di averlo espulso da sé.
II 3 Se, poi, a proposito del motivo per cui le mie parole_ esultano e
trionfano, qualcuno, spinto da sentimenti che dovrebbero essere unanimi,
mi accusasse duramente di non aver fatto arrestare un nemico così mortale,
ma di averlo lasciato partire, gli risponderei che la responsabilità non è
mia, Quiriti, ma delle circostanze. Da tempo si doveva eliminare Lucio
Catilina, condannarlo alla pena capitale: me lo chiedevano la tradizione
avita, l'autorità dei miei poteri e l'interesse dello Stato. Ma quanti non
avrebbero creduto ai fatti che denunciavo? Provate a pensarlo! Quanti li
avrebbero persino giustificati? [Quanti li avrebbero sottovalutati per
stoltezza?] [Quanti li avrebbero favoriti per disonestà?] Ma se, eliminato
lui, mi fossi convinto di stornare da voi ogni pericolo, da tempo avrei
ucciso Lucio Catilina non solo a rischio di suscitare la vostra
disapprovazione, ma anche a rischio della mia vita. 4 Mi rendevo conto,
però, che se lo avessi condannato a morte, come meritava, quando neppure
per tutti voi il fatto era provato, non avrei potuto perseguire i suoi
complici sotto il peso dell'impopolarità. Allora ho agito in modo che voi
poteste combatterlo apertamente, perché vi era chiaro chi fosse il nemico.
E quanto io ritenga temibile un nemico che non è più qui, potete capirlo,
Quiriti, dal dispiacere che provo nel constatare che è partito dalla città
con pochi uomini. Magari avesse portato con sé tutte le forze! Invece mi
ha portato via Tongilio, che indossava ancora la pretesta quando si
invaghì di lui, Publicio e Minucio, indebitati a tal punto nelle bettole
da non poter scatenare nessuna rivoluzione! Che uomini ha lasciato! Con
che debiti! Che nomi autorevoli e illustri!
III 5 E così, se confronto il suo esercito con le nostre legioni stanziate
in Gallia, con gli uomini arruolati da Quinto Metello nel Piceno e in
Gallia, con le truppe che addestriamo ogni giorno, non nutro che profondo
disprezzo per quell'accozzaglia di vecchi disperati, di spacconi di
campagna, di falliti di provincia, di gente che ha preferito disertare il
tribunale per debiti piuttosto che un simile esercito. Basterà che li
metta di fronte non dico ai nostri soldati, ma all'editto del pretore, e
crolleranno tutti.
Questi qui, invece, che vedo aggirarsi nel Foro, stare davanti alla Curia
o addirittura presentarsi in Senato, che brillano di unguenti e sono
smaglianti nella loro porpora, avrei preferito che se li fosse portati
dietro come soldati. Se rimangono qui, ricordatevelo, questi che hanno
disertato l'esercito saranno ben più temibili dell'esercito stesso di
Catilina! E bisogna temerli in misura maggiore perché non ignorano che io
sono a conoscenza dei loro complotti, ma restano imperturbabili. 6 So a
chi è stata assegnata la Puglia, chi controlla l'Etruria, chi il Piceno,
chi la Gallia, chi ha richiesto per sé l'organizzazione degli attentati in
città, cioè stragi e incendi. Sanno che mi sono stati riferiti tutti i
loro programmi dell'altra notte: li ho denunciati in Senato, ieri. Persino
Catilina è stato preso dal panico, è fuggito. E loro, che cosa aspettano?
Sbagliano davvero se si illudono che l'indulgenza che ho mostrato in
passato sia eterna!
IV Quel che mi ero proposto, ormai l'ho conseguito: avete perfettamente
chiaro che è stata organizzata una congiura contro lo Stato. O qualcuno
ritiene che gli amici di Catilina nutrano altri propositi? Ormai non c'è
più posto per l'indulgenza! È la situazione a richiedere fermezza. Farò
solo una concessione: se ne vadano, partano, non lascino che Catilina si
strugga nella loro mancanza! Mostrerò la strada. È partito per la via
Aurelia; se si sbrigano, lo raggiungeranno verso sera. 7 Che fortuna per
lo Stato, se si libererà da questa fogna! Gli è bastato ripulirsi solo di
Catilina e mi sembra abbia acquistato serenità, fiducia. Quale delitto,
quale crimine è possibile pensare, immaginare che Catilina non abbia
compiuto? C'è, in tutt'Italia, avvelenatore, assassino, bandito, sicario,
omicida, falsificatore di testamenti, truffatore, dissoluto,
scialacquatore, adultero, prostituta, corruttore della gioventù, corrotto,
vizioso che non ammetta di essere stato intimo amico di Catilina? Quale
assassinio, in questi anni, è stato compiuto senza di lui? Quale nefanda
violenza se non per mano sua? 8 Chi mai ha esercitato un simile potere di
seduzione sulla gioventù? Amava gli uni nel modo più turpe, serviva gli
altri in ignominiosi desideri, prometteva agli uni il frutto delle
passioni, agli altri la morte dei genitori: lo faceva non solo con la
promessa, ma anche con l'aiuto materiale. E adesso, con che rapidità è
riuscito a raccogliere un gran numero di disperati dalla città e
addirittura dalla campagna! Chiunque fosse oberato di debiti, a Roma come
in ogni angolo d'Italia, lui lo ha fatto entrare in questa inaudita
congrega di criminali.
V 9 E perché possiate farvi un'idea della sua versatilità in campi
diversi, nelle palestre non c'è gladiatore un po' più temerario
nell'azione che non confessi di essere amico di Catilina; sulla scena, non
c'è attore un po' più infido e depravato che non affermi di essere quasi
un suo compagno. E lui, abituato dalla pratica di violenze e crimini a
sopportare freddo, fame, sete e veglie, si è conquistato la fama di duro
proprio tra questi individui, consumando le risorse della sua
intraprendenza e le sue forze interiori nel sesso e nel delitto. 10 Se i
suoi complici lo avessero seguito, se le infami schiere di questi
disperati avessero lasciato Roma, che gioia per noi, che fortuna per lo
Stato e che magnifica gloria per il mio consolato! Le loro passioni,
infatti, superano ormai la misura. La loro sfrontatezza non è umana, non è
sopportabile. Stragi, incendi, rapine sono il loro unico pensiero. Hanno
sperperato patrimoni, hanno ipotecato beni; da tempo hanno perso le
sostanze, ora iniziano a perdere il credito; ma rimane in loro quella
smania di godere che avevano nell'abbondanza. Se nel vino e nel gioco non
cercassero che baldorie e prostitute, sarebbero dei casi disperati, eppure
sopportabili. Ma chi potrebbe sopportare che degli inetti complottino
contro gli uomini più validi, i più stupidi contro i più savi, gli
ubriachi contro i sobri, gli storditi contro gli svegli? Individui che
bivaccano nei conviti, che stanno allacciati a donne svergognate, che
illanguidiscono nel vino, pieni di cibo, incoronati di serti, cosparsi di
unguenti, debilitati dalla copula, vomitano a parole che bisogna far
strage dei cittadini onesti e incendiare la città. 11 Sono sicuro che sul
loro capo incombe un funesto destino e che sia imminente o per lo meno si
stia avvicinando quel castigo che da tempo hanno meritato per la loro
disonestà, dissolutezza, delinquenza e depravazione. Se il mio consolato,
dal momento che non può farli ravvedere, li eliminerà, prolungherà la vita
dello Stato non di qualche giorno, ma di molti secoli. Non c'è infatti
nazione che temiamo, non c'è re che sia in grado di muovere guerra al
popolo romano; all'estero tutto è in pace, per terra e per mare, grazie al
valore di un solo uomo. Rimane la guerra civile: è all'interno che stanno
i complotti, è all'interno, nel profondo, che sta il pericolo; è
all'interno che sta il nemico. Bisogna combattere contro il vizio, contro
la follia, contro il delitto. È questa guerra, Quiriti, che mi impegno a
condurre, esponendomi all'odio di uomini perduti; risanerò in qualunque
modo quel che potrà essere risanato; non permetterò che rimanga a danno
della comunità quel che va reciso di netto. Perciò, se ne vadano oppure se
ne stiano tranquilli, o, se rimangono in città e non mutano proposito, si
aspettino quel che si meritano!
VI 12 Ma c'è anche chi sostiene, Quiriti, che sono stato io a mandare in
esilio Catilina. Se potessi ottenere un simile risultato con la parola,
manderei in esilio proprio chi avanza simili insinuazioni. Un uomo così
timoroso, così pieno di moderazione come Catilina non ha saputo sopportare
la voce del console! Non appena gli è stato ordinato di andare in esilio,
ha obbedito. Ma ascoltate: ieri, dopo aver rischiato la vita in casa mia,
ho convocato il Senato nel tempio di Giove Statore e ho illustrato tutta
la situazione ai senatori. Quando Catilina si è presentato, quale senatore
gli ha rivolto la parola? Chi lo ha salutato? Chi non lo ha guardato come
si guarda un cittadino corrotto, che dico, il peggior nemico? Non solo: i
principali esponenti dell'ordine senatorio hanno lasciato completamente
sgombro il settore dei seggi a cui lui si era avvicinato. 13 Allora io, il
console famoso per la sua veemenza, io che con una parola esilio i
cittadini, ho chiesto a Catilina se avesse partecipato alla riunione
notturna in casa di Marco Leca o no. Poiché lui, che non ha eguali per
sfrontatezza, ma era colpevole di fronte a se stesso, dapprima taceva, ho
reso pubblico tutto il resto; ho denunciato che cosa avesse fatto quella
notte, cosa avesse stabilito per la notte seguente, come avesse
programmato tutta la guerra. Lui esitava, era confuso: allora gli ho
chiesto perché non si decideva a raggiungere il luogo dove già da tempo
aveva stabilito di recarsi, dove, come sapevo, si era fatto precedere da
armi, scuri, fasci consolari, trombe, insegne militari e quell'aquila
d'argento cui aveva dedicato un sacello in casa sua.
14 Ho esiliato chi vedevo già muovere guerra? Ma sì, non ci sono dubbi!
Questo centurione, Manlio, che ha accampato l'esercito presso Fiesole, a
suo nome ha dichiarato guerra al popolo romano! E questo famoso
accampamento non sta aspettando Catilina a comandarlo! E Catilina,
condannato all'esilio, si sta dirigendo a Marsiglia, come dicono, e non a
Fiesole!
VII Compito ingrato governare lo Stato, ma anche salvarlo! Ora, se Lucio
Catilina, sentendosi braccato, ridotto all'impotenza dai miei
provvedimenti, dai miei sforzi e dai rischi che corro, avrà di colpo
paura, muterà avviso, lascerà i suoi, rinuncerà all'idea di far guerra,
abbandonerà la strada del crimine e del conflitto per darsi alla fuga,
all'esilio, non si dirà che sono stato io a strappargli le armi di
un'impresa folle, che sono stato io, con la mia sorveglianza, ad
atterrirlo, a paralizzarlo, che sono stato io a vanificare le sue speranze
e i suoi tentativi, ma si dirà che non ha avuto un regolare processo, che
è innocente, che il console, con la violenza e le minacce, l'ha mandato in
esilio. E se farà così, non mancherà chi lo giudicherà una vittima, non un
colpevole, e giudicherà me il più crudele dei tiranni, non il più solerte
dei consoli. 15 Eppure, Quiriti, credo che valga la pena di subire la
tempesta di un'impopolarità falsa e ingiusta, purché sia allontanato da
voi il pericolo di una guerra orribile e sacrilega. Si dica pure che sono
stato io a scacciarlo, purché vada in esilio. Ma, credetemi, non ci andrà.
Quiriti, non chiederò mai agli dèi immortali, per liberarmi
dall'impopolarità, che voi veniate a sapere che Lucio Catilina è alla
testa dell'esercito nemico e si aggira armato. Eppure nell'arco di tre
giorni vi giungerà questa notizia. Una cosa, tuttavia, temo molto di più:
di incontrare un giorno lo sfavore pubblico perché ho permesso che
partisse, non perché l'ho esiliato. Ma se c'è gente capace di dire che io
l'ho bandito, mentre è partito liberamente, cosa direbbe se fosse stato
ucciso? 16 Del resto, chi sostiene che Catilina è diretto a Marsiglia è
più preoccupato che dispiaciuto. Nessuno di loro prova tanta pietà da
preferire che vada a Marsiglia piuttosto che da Manlio! Quanto a lui,
anche se non avesse mai premeditato quel che sta compiendo, preferirebbe
certo morire da bandito che vivere da esiliato. Ma in questo momento,
poiché finora non gli è accaduto nulla che fosse in contrasto con le sue
intenzioni e i suoi progetti, se non partire da Roma lasciandomi vivo,
auguriamoci che vada dritto in esilio e non lamentiamocene!
VIII 17 Ma perché parliamo tanto di un solo nemico, per giunta un nemico
che si dichiara ormai tale e che non temo, dal momento che, come ho sempre
desiderato, ci tiene separati un muro? E perché, invece, non diciamo nulla
di questi altri che dissimulano, che restano a Roma, che stanno in mezzo a
noi? Se ci fosse una possibilità, vorrei guarirli, riconciliarli con lo
Stato, non punirli. E credo che ce la farei, se solo volessero ascoltarmi.
Vi mostrerò allora, Quiriti, da quali categorie di persone si compongono
le forze di Catilina; poi, nei limiti del possibile, somministrerò a
ciascuna la medicina del mio pensiero e della mia parola.
18 La prima categoria è costituita da uomini che, pur gravati da ingenti
debiti, dispongono di proprietà ancora più grandi da cui non possono
assolutamente separarsi per un attaccamento morboso. Rientrano in questo
gruppo gli uomini più rispettabili (si tratta dei possidenti, infatti), ma
le loro pretese e la loro causa sono le più abiette. Tu sei ricco, sei
pieno di terre, tu di case, tu di argento, tu di schiavi, tu di beni di
ogni sorta ed esiti a sottrarre un nonnulla dal tuo patrimonio per
guadagnare credibilità? Che cosa aspetti? Una guerra? Che cosa, allora?
Pensi che nella devastazione generale i tuoi possedimenti si salveranno? O
aspetti una cancellazione dei debiti? È uno sbaglio aspettarla da
Catilina; sarà compito mio stabilire nuovi registri, ma con vendite
all'asta. È questo, del resto, l'unico modo per salvare i possidenti. Se
si fossero decisi a ricorrere a queste misure in tempo, evitando di far
fronte agli usurai con il ricavato delle rendite fondiarie - che pazzia!
-, avremmo in loro cittadini più ricchi e più onesti. Ma credo che questi
uomini rappresentino il pericolo minore, perché è possibile farli
ricredere oppure, se persistono, mi sembrano capaci di augurarsi la rovina
dello Stato, ma non di prendere le armi.
IX 19 La seconda categoria si compone di individui che, per quanto oberati
dai debiti, mirano al potere, vogliono arrivare in alto e si illudono di
poter conquistare con la rivoluzione quelle cariche cui non aspirerebbero
in una situazione di pace interna. È mio dovere dar loro un consiglio, lo
stesso che, naturalmente, darei a tutti gli altri: non sperino di poter
realizzare la loro impresa. Per prima cosa, ci sono io a vigilare, a
intervenire, a provvedere allo Stato. In secondo luogo, nei cittadini
onesti è grande il coraggio, grande l'unanimità, grandissimo il loro
numero e grandi, inoltre, le milizie. Infine, gli dèi immortali verranno
in aiuto di questo popolo invitto, di questo impero glorioso, di questa
città straordinaria contro l'immane violenza del male presente. Se poi
riuscissero a ottenere quel che desiderano in un'estrema esaltazione,
sperano forse di diventar consoli, dittatori o addirittura re sulle ceneri
di Roma e sul sangue dei cittadini, come hanno bramato nella loro mente
scellerata e perversa? Non si accorgono di aspirare a un potere che, se lo
ottenessero, dovrebbero inevitabilmente cedere a un qualsiasi schiavo
fuggitivo o a un gladiatore?
20 La terza categoria è formata da uomini ormai anziani, ma robusti per la
continua attività. Appartiene a questa categoria Manlio, cui ora subentra
nel comando Catilina. Sono uomini che provengono dalle colonie fondate da
Silla, abitate in prevalenza, come mi risulta, dai cittadini migliori e
dagli uomini più validi; ma i coloni di cui parlo, trovandosi in un
benessere insperato e improvviso, si sono dati allo sperpero e
all'arroganza. Costruiscono come se fossero dei ricconi, si danno alla
bella vita in proprietà modello, tra un gran numero di schiavi e in
conviti sfarzosi; così, si sono riempiti di debiti al punto che, se
volessero risollevarsi, dovrebbe chiamare Silla dall'aldilà! Hanno spinto
anche dei contadini, gente semplice e squattrinata, a sperare in rapine
come quelle del passato. Entrambi li annovero nella categoria dei ladri e
dei rapinatori. Ma li avverto: smettano di delirare e di pensare a
proscrizioni e dittature. Il dolore di quei giorni ha inciso così
profondamente sulla collettività che non solo gli esseri umani, ma neppure
le bestie, credo, ne sopporterebbero il ritorno!
X 21 La quarta categoria è davvero varia, composita e confusa, gente da
tempo rovinata che non si risolleva mai, che sotto il peso di antichi
debiti vacilla per inettitudine, per incapacità di gestire i propri
interessi, anche per spreco. Si dice che, stanchi di citazioni, processi,
confische, affluiscano in gran numero nell'accampamento di Catilina dalla
città e dalla campagna. Più che soldati coraggiosi, li considero, per i
loro debiti, delle nullità. Questi individui, se non sono in grado di
reggersi con le proprie forze, cadano a terra quanto prima, ma senza recar
il minimo disturbo alla cittadinanza e ai loro più stretti vicini! Non
capisco perché, se non sono capaci di vivere con onestà, vogliano morire
nella vergogna, né perché considerino meno doloroso morire in tanti
piuttosto che da soli.
22 La quinta categoria è degli assassini, dei sicari, in una parola di
tutti i delinquenti. Non li voglio staccare da Catilina, perché non sanno
separarsi da lui. E allora muoiano da banditi! Sono in troppi perché il
carcere possa contenerli tutti!
L'ultima categoria, poi, non solo nell'ordine, ma anche nello stile di
vita, è quella cui appartiene Catilina e comprende uomini scelti da lui,
diciamo meglio i suoi fidi. Li avete sotto gli occhi: senza un capello
fuori posto, cosparsi di unguenti, imberbi o con la barba ben tagliata,
vestiti di tuniche sino alla caviglia e con le maniche lunghe, avvolti da
veli e non dalla toga. Tutta la loro energia, tutto lo sforzo di stare
svegli li impiegano in bagordi notturni. 23 In questa masnada annovero
tutti i giocatori d'azzardo, tutti i dissoluti e gli svergognati. Questi
«fanciulli» così graziosi e delicati hanno imparato non solo ad amare e a
essere amati, a danzare e cantare, ma anche a brandire pugnali e
somministrare veleni. Se non se ne vanno, se non muoiono, sappiate che,
anche nel caso in cui Catilina dovesse morire, rimarranno loro, i Catilina
in erba! Ma, in fondo, che cosa vogliono questi pusillanimi? Portarsi
dietro nell'accampamento le loro donnine? Come potranno rinunciarvi in
notti così lunghe? E come affronteranno l'Appennino, con il suo gelo e la
sua neve? A meno che non siano convinti di resistere all'inverno meglio
degli altri perché sanno danzare nudi nei festini!
XI 24 Che terrore di questa guerra, se Catilina disporrà di una simile
coorte pretoria! Ora, Quiriti, schierate le vostre guarnigioni e i vostri
eserciti contro le intrepide milizie di Catilina e, per prima cosa,
opponete i vostri consoli e comandanti a quel gladiatore stremato e
ferito! Fate scendere in campo il fior fiore, il nerbo dell'Italia intera
contro quel pugno di naufraghi esausti, sbattuti dalle onde! Colonie e
municipi sapranno senz'altro rispondere alle imboscate di Catilina! Non è
il caso, poi, che confronti tutte le forze di cui disponete, i vostri
equipaggiamenti e le vostre risorse alla mancanza di mezzi, alla miseria
di quel bandito. 25 Ma se, tralasciando tutto ciò di cui siamo provvisti e
di cui lui è privo, intendo dire il Senato, i cavalieri, la città, il
tesoro pubblico, le rendite statali, l'Italia intera, tutte le province,
gli stati esteri, se, tralasciando tutto ciò, volessimo confrontare
semplicemente le due cause avverse, solo questo sarebbe sufficiente a
farci capire quanto siano a terra! Dalla nostra parte combatte la
moderazione, dalla loro l'insolenza; qui la pudicizia, là la vergogna; qui
la lealtà, là l'inganno; qui il timore degli dèi, là l'empietà; qui la
coerenza, là la follia; qui l'onore, là l'infamia; qui la moderazione, là
la sfrenatezza; infine l'equità, la temperanza, il coraggio, la saggezza,
insomma tutte le virtù combattono contro l'ingiustizia, la sfrenatezza, la
viltà, la temerarietà, insomma contro tutti i vizi. Infine, la ricchezza
si oppone alla povertà, l'ordine alla rivoluzione, la ragione alla pazzia
e, per concludere, la speranza a una generale disperazione. In un tale
conflitto, in un tale scontro, se gli sforzi umani fossero insufficienti,
non interverrebbero forse gli dèi immortali a far trionfare le più nobili
virtù su tanti e tali vizi?
XII 26 Questa è la situazione, Quiriti: difendete, come avete fatto
finora, le vostre case con turni di guardia. Io ho disposto misure
sufficienti a tutelare la sicurezza in città: non avrete nulla da temere;
non ci sarà nessun disordine. Tutte le colonie e i municipi sono stati da
me informati della partenza notturna di Catilina: difenderanno senza
difficoltà le loro città e i loro territori. I gladiatori, una schiera su
cui Catilina contava moltissimo, saranno controllati dalle nostre forze,
benché siano più coraggiosi di certi patrizi. Quinto Metello, che ho
inviato in Gallia e nel Piceno prevedendo questa situazione, schiaccerà
Catilina o renderà vano ogni suo movimento e ogni sua azione. Quanto alle
altre decisioni da prendere, da preparare, da eseguire ne riferirò al
Senato, che, come vedete, ho proceduto a convocare.
27 Ora, a coloro che sono rimasti in città, anzi a coloro che Catilina ha
lasciato in città a minacciare la città stessa e la vita di tutti voi,
voglio dare ancora una volta un avvertimento; sono nemici, è vero, ma
cittadini di nascita. L'indulgenza che ho mostrato finora, se poteva
sembrare debolezza, era finalizzata a smascherare quel che stava nascosto.
Ma ormai non posso più dimenticare che questa è la mia patria, che io sono
il vostro console, che devo vivere con voi o morire per voi. Non ci sono
guardie alle porte, non ci sono insidie per strada: se vogliono partire,
posso far finta di niente. Ma se qualcuno creerà disordini in città, se lo
scoprirò non solo ad attuare, ma solo a tentare un'azione eversiva,
imparerà a sue spese che a Roma ci sono consoli attenti, magistrati
egregi, un Senato forte, armi, un carcere voluto dai nostri antenati per
punire gli empi reati che siano stati colti in flagrante.
XIII 28 Tutti questi provvedimenti saranno presi in modo che la peggiore
delle crisi sarà risolta con il minimo intervento, i pericoli più gravi
superati senza disordini e la guerra civile più feroce e più vasta a
memoria d'uomo sedata da me solo, unico generale in toga. Controllerò la
situazione, Quiriti, in modo che, se mi sarà possibile, nessun colpevole
sconti qui a Roma la pena del suo reato. Ma se la flagranza di un
attentato o l'incombere di un pericolo pubblico mi costringessero ad
abbandonare la mia indulgenza, otterrò senza dubbio un risultato
difficilmente auspicabile in un conflitto tanto vasto e insidioso: nessun
uomo onesto morirà, tutti sarete salvi a prezzo del supplizio di pochi. 29
Vi prometto simili risultati non perché io confidi nella mia capacità di
previsione o nell'intelligenza umana, Quiriti, ma perché gli dèi immortali
con molti e inequivocabili segni mi hanno ispirato questa speranza e
questa opinione. Gli dèi, con il loro potere divino, difendono i templi e
le case di Roma non da lontano, come solevano fare un tempo contro nemici
esterni, ma standoci accanto. Pregateli, Quiriti, adorateli e implorateli
perché proteggano dal crimine scellerato dei cittadini più abietti questa
città, che hanno voluto la più bella, rigogliosa e potente, oggi che tutti
gli eserciti nemici, per terra e per mare, sono stati schiacciati.


CONTRO L. CATILINA III


I 1 È lo Stato, Quiriti, è la vita di voi tutti, sono i beni, le
proprietà, le vostre mogli e i vostri figli, è la capitale di un impero al
culmine della gloria, è Roma, città che gode della massima fortuna e
prosperità, è tutto questo che, oggi, vedete strappato al fuoco e al
ferro, quasi alle fauci di un destino funesto, che vedete salvo e a voi
restituito grazie alla suprema benevolenza che gli dèi immortali vi
concedono e grazie ai miei sforzi, alle mie iniziative, ai pericoli che ho
affrontato. 2 E se il giorno in cui abbiamo salva la vita non ci è meno
caro e prezioso del giorno in cui nasciamo, perché è certa la gioia della
salvezza, ma incerta la condizione del nascere, e perché nasciamo senza
averne consapevolezza, ma ci salviamo con soddisfazione, dal momento che,
per riconoscenza, abbiamo elevato al rango degli dèi immortali il
fondatore di questa città, sarà doveroso, per voi e i vostri posteri,
onorare chi ha salvato questa stessa città, una città che è cresciuta dai
tempi della sua fondazione. Avevano quasi ormai appiccato i fuochi
tutt'intorno a Roma, nei templi, nei santuari, nelle case, alle mura: li
abbiamo spenti. Avevano sguainato le spade contro lo Stato: le abbiamo
respinte. Avevano puntato i pugnali alla vostra gola: li abbiamo
abbattuti.
3 Io ho scoperto, messo in luce, illustrato ogni cosa in Senato. Ora, non
mi resta che esporvi brevemente i fatti: voi, che ne siete all'oscuro e
desiderate esserne informati, potrete così valutarne l'entità, l'evidenza
e in che modo siano stati investigati e controllati.
Per prima cosa, non appena Catilina, pochi giorni fa, è sparito lasciando
a Roma i complici della sua azione criminale, i capi più feroci di questa
guerra nefasta, io, Quiriti, ho sempre vigilato e provveduto alla nostra
salvezza, pur tra insidie tremende e oscure. II Infatti, quando cercavo di
esiliare Catilina (non temo più di suscitare disapprovazione nel dire
«esiliare»; anzi, mi rimprovero che Catilina se ne sia andato vivo),
dunque, quando volevo bandirlo, pensavo che tutto il gruppo dei congiurati
lo avrebbe seguito oppure che chi rimaneva in città, senza di lui, avrebbe
perso forza e sicurezza. 4 Ma, non appena ho visto che stavano in mezzo a
noi, che erano rimasti a Roma gli individui più fanatici e più violenti,
come sapevo bene, ho trascorso giorni e notti a spiare cosa facessero,
cosa preparassero. Certo che l'enormità del loro crimine vi avrebbe
impedito di credere alle mie parole, ho dovuto coglierli sul fatto perché
voi, vedendo con i vostri occhi il loro delitto, avreste finalmente
provveduto a salvarvi. Così, non appena sono stato informato che Publio
Lentulo aveva cercato di corrompere gli ambasciatori degli Allobrogi
perché provocassero una guerra al di là delle Alpi e dei tumulti in Gallia
Cisalpina; che questi ambasciatori, con lettere e indicazioni a voce,
venivano rimandati dal loro popolo in Gallia, sì, ma per la stessa strada
che conduce da Catilina; che li accompagnava Tito Volturcio portando con
sé lettere per Catilina, ho pensato che mi fosse offerta un'occasione
difficilissima a ripetersi, ma che ho sempre chiesto agli dèi immortali:
che tutto il complotto fosse colto sul fatto non solo da me, ma anche da
voi e dal Senato.
5 Così, ieri ho convocato i pretori Lucio Flacco e Caio Pomptino, uomini
di provato valore e della massima devozione allo Stato. Ho esposto loro la
situazione. Li ho messi al corrente del mio piano. Subito, senza indugio,
senza alcuna obiezione, perché nutrono per lo Stato i sentimenti più
nobili, hanno accettato l'incarico e, sul far della sera, si sono recati
segretamente al ponte Milvio. Lì, nascondendosi nelle case vicine, si sono
divisi in due gruppi in modo da avere in mezzo il Tevere e il ponte. Senza
generare il minimo sospetto, avevano portato con sé molti uomini intrepidi
ed io avevo inviato dalla prefettura di Rieti un gruppo di giovani armati,
ragazzi scelti della cui opera mi avvalgo spesso per difendere lo Stato. 6
Erano quasi le tre del mattino, quand'ecco arrivare al ponte Milvio gli
ambasciatori degli Allobrogi, con grande seguito, e Volturcio. Vengono
subito attaccati. Da entrambe le parti si snudano le spade. Solo i pretori
erano al corrente di tutta la vicenda, gli altri la ignoravano. III
Allora, per intervento di Pomptino e Flacco, cessa lo scontro [che era
iniziato]. Tutte le lettere trovate in possesso degli uomini del seguito
sono consegnate ai pretori con i sigilli intatti. Gli arrestati vengono
condotti da me all'alba. Io mando a chiamare immediatamente il perverso
ideatore di tutti questi crimini, Cimbro Gabinio, che non sospettava
nulla. Poi convoco anche Lucio Statilio e, dopo di lui, Cetego. Per ultimo
viene Lentulo forse perché, la notte prima, diversamente dalle sue
abitudini, era stato sveglio per scrivere la sua lettera.
7 Al mattino, i più autorevoli esponenti della nostra città, venuti a
conoscenza dell'accaduto, accorrono numerosi a casa mia e mi consigliano
di aprire le lettere prima di portarle in Senato: se non avessero rivelato
nulla di importante, avremmo evitato di creare inutili agitazioni in
città. Mi sono rifiutato: era mio dovere, in una situazione di pericolo
pubblico, rimettere la faccenda impregiudicata al Senato. E infatti,
Quiriti, anche se non si fosse rivelato esatto quanto mi era stato
riferito, ritenevo di non dover temere l'accusa di eccessiva scrupolosità
trattandosi di seri pericoli per lo Stato. Ho convocato subito una seduta
del Senato che, come avete visto, è stata affollata. 8 Nel contempo, su
consiglio degli Allobrogi, ho mandato in casa di Cetego il pretore Caio
Sulpicio, uomo di una certa tempra, a sequestrare le armi che avesse
trovato. Ha requisito pugnali e spade a non finire.
IV Introduco Volturcio senza i Galli. Col permesso del Senato, gli
garantisco l'impunità. Lo esorto a rivelare senza paura quanto sa. Allora
lui, riprendendosi a stento da una gran paura, dice di aver ricevuto da
Publio Lentulo delle indicazioni e una lettera per Catilina in cui gli si
diceva di ricorrere agli schiavi e dirigersi al più presto a Roma con
l'esercito. La loro intenzione era di incendiare la città in ogni zona,
come era stato stabilito in partenza, e di procedere al massacro della
cittadinanza intera: Catilina doveva trovarsi sul posto per catturare i
fuggiaschi e unirsi ai capi rimasti a Roma. 9 Dopo Volturcio è la volta
dei Galli. Affermano che Publio Lentulo, Cetego e Statilio avevano
prestato giuramento e consegnato loro delle lettere indirizzate al popolo
allobrogico. Insieme a Lucio Cassio chiedevano ai Galli di inviare al più
presto la cavalleria in Italia; la fanteria non sarebbe mancata. Lentulo,
poi, aveva assicurato che, secondo gli oracoli sibillini e i responsi
degli aruspici, era lui il terzo Cornelio destinato ad avere il supremo
potere civile e militare su Roma: prima era toccato a Cinna e a Silla.
Lentulo aveva pure aggiunto che, nell'anno in corso, il decimo
dall'assoluzione delle Vestali e il ventesimo dall'incendio del
Campidoglio, si sarebbe consumata l'ineluttabile caduta di Roma e
dell'impero. 10 I Galli riferiscono anche di una discussione sorta tra
Cetego e gli altri congiurati: questi ultimi e Lentulo proponevano di
fissare il massacro e l'incendio della città per i Saturnali, Cetego
trovava questa data troppo lontana.
V Per non dilungarmi troppo, Quiriti, facciamo portare le tavolette che
ciascun congiurato avrebbe scritto. Il primo a cui mostriamo il sigillo è
Cetego: lo riconosce. Tagliamo lo spago, leggiamo. Aveva scritto di sua
mano al Senato e al popolo degli Allobrogi che avrebbe mantenuto le
promesse fatte agli ambasciatori; chiedeva agli Allobrogi di adempiere, a
loro volta, agli obblighi presi dai loro rappresentanti. Allora Cetego,
che sino a poco prima era riuscito a fornire spiegazioni sul rinvenimento
in casa sua di spade e di pugnali, dichiarando di essere sempre stato un
collezionista di armi pregiate, non appena leggiamo la sua lettera, tace
di colpo, schiacciato, stroncato dalla consapevolezza del suo crimine.
Viene introdotto Statilio che riconosce il suo sigillo e la sua scrittura.
Gli sono lette le tavolette che presentano quasi il medesimo contenuto
delle precedenti. Confessa. Allora mostro le tavolette a Lentulo e gli
chiedo se riconosce il sigillo. Annuisce. «Lo riconosci certamente», gli
dico. «Presenta l'effigie del tuo avo, uomo di grande valore che amò
unicamente la patria e i suoi concittadini. Anche muta, questa effigie
avrebbe dovuto trattenerti da un crimine così mostruoso!». 11 Gli viene
letta la lettera, di analoga ispirazione, rivolta al Senato e al popolo
degli Allobrogi. Gli concedo di parlare, se intende aggiungere qualcosa.
Dapprima risponde di no, ma, poco dopo, quando la deposizione viene messa
a verbale e letta, si alza in piedi. Chiede ai Galli di chiarire quali
legami intercorressero tra di loro e perché fossero venuti a casa sua. Lo
stesso fa con Volturcio. I Galli gli rispondono con brevità e con
decisione, rivelando il nome di chi li aveva condotti da lui e il numero
degli incontri. Gli chiedono, a loro volta, se non abbia niente da dire a
proposito degli oracoli sibillini. Allora Lentulo, di colpo, perde la
testa di fronte al suo crimine, mostrando quanto sia devastante averne
coscienza. Poteva negare l'accusa. Invece confessa, all'improvviso, contro
l'opinione di tutti. Così, non solo gli venne a mancare l'acume e
l'abilità oratoria, da sempre suoi punti di forza, ma, per la gravità e
l'evidenza del suo crimine, lo abbandonarono anche quella protervia e
quella mancanza di scrupoli che lo rendevano unico. 12 A un tratto
Volturcio ci chiede di portare la lettera che Lentulo gli avrebbe
consegnato per Catilina e di aprirla. Lentulo, anche se profondamente
sconvolto, riconosce il suo sigillo e la sua scrittura. La lettera non
recava nomi, ma diceva così: «Saprai chi sono da chi ti ho inviato. Cerca
di essere uomo e considera sino a che punto ti sei spinto. Ti è chiaro
ormai cosa devi fare. Assicùrati l'appoggio di tutti, anche dei più
umili». Poi viene convocato Gabinio, che inizia a rispondere con
arroganza, ma alla fine non nega nessuna delle accuse dei Galli. 13 Del
resto, Quiriti, se tavolette, sigilli, scritture e infine la confessione
di ciascuno mi sembravano prove inconfutabili, molto più lo erano il
pallore, gli occhi, l'espressione, il silenzio di questi uomini. Erano
così sbalorditi, gli occhi piantati a terra, gli sguardi furtivi da uno
all'altro, che le accuse sembravano muovere da loro stessi più che dagli
altri.
VI Messe a verbale e lette le deposizioni, Quiriti, ho chiesto al Senato
che decisioni intendesse prendere nell'interesse dello Stato. I primi a
intervenire si sono espressi con la massima durezza e la loro posizione è
stata approvata all'unanimità dal Senato. Dal momento che non è stato
ancora redatto il verbale, Quiriti, vi riporterò a memoria come si è
svolta la seduta. 14 Per prima cosa, mi vengono rivolti i più vivi
ringraziamenti perché con coraggio, intelligenza e lungimiranza ho
liberato lo Stato da pericoli gravissimi. Ricevono meritate lodi anche i
pretori Lucio Flacco e Caio Pomptino per aver collaborato alla mia azione
con forza e lealtà. Si elogia anche il mio eccellente collega, per aver
troncato ogni rapporto pubblico e privato con i congiurati. Si decide
inoltre di mettere agli arresti domiciliari Publio Lentulo, dimessosi
dalla carica di pretore, e pure Caio Cetego, Lucio Statilio e Publio
Gabinio, che erano tutti presenti. Lo stesso provvedimento è deciso per
Lucio Cassio, che si era assunto l'incarico di incendiare la città; per
Marco Cepario, accusato di aver ricevuto il compito di portare alla
rivolta i pastori della Puglia; per Publio Furio, uno dei coloni insediati
da Silla nelle terre di Fiesole; per Quinto Annio Chilone, che, insieme a
Furio, si era sempre prodigato nella collusione con gli Allobrogi; per
Publio Umbreno, il liberto, che per la prima volta avrebbe accompagnato i
Galli da Gabinio. Il Senato ha agito con indulgenza, Quiriti. Ha ritenuto
infatti che condannare solo i nove uomini più corrotti, quando la congiura
è così estesa e i nemici interni così numerosi, avrebbe potuto far
ricredere tutti gli altri, una volta assicurata la salvezza dello Stato.
15 E, in mio onore, è stata anche decretata una cerimonia di
ringraziamento agli dèi immortali per il loro aiuto decisivo: è la prima
volta dalla fondazione di Roma che viene tributata a un civile. La
motivazione è la seguente: «Per aver salvato la città dall'incendio, i
cittadini dal massacro, l'Italia dalla guerra». Se confrontiamo questo
ringraziamento con quelli del passato, la differenza è che gli altri
vennero decretati per vittorie militari, questo, ed è l'unico, per la
salvezza dello Stato.
È stato fatto quello che prima di tutto bisognava fare. Publio Lentulo,
benché, a seguito di prove inconfutabili, della sua confessione e della
sentenza del Senato, avesse già perso non solo la carica di pretore, ma
anche i diritti civili, si è dimesso. Ci siamo liberati così, nel punirlo
come privato cittadino, di quello scrupolo che non aveva comunque impedito
al glorioso Caio Mario di uccidere un pretore, Caio Glaucia, contro il
quale non era stata pronunciata nessuna sentenza.
VII 16 Ora che avete catturato e messo agli arresti gli ignobili capi
della più scellerata e pericolosa delle guerre, potete convincervi,
Quiriti, che tutte le truppe di Catilina, tutte le sue speranze e risorse
sono crollate, una volta rimossi questi pericoli della città. Quando lo
cacciavo da Roma, prevedevo, Quiriti, che con Catilina lontano non avrei
dovuto temere quell'infingardo di Lentulo o quel grassone di Cassio o quel
pazzo temerario di Cetego. Tra tutti questi solo Catilina dovevamo temere,
ma finché fosse rimasto dentro le mura cittadine. Conosceva tutto. Si
insinuava ovunque. Sapeva chiamare a sé, tentare, corrompere e osava
farlo. Per indole era portato al male e all'indole univa la forza e
l'eloquenza. Disponeva di uomini fidati, selezionati per missioni
speciali. Se affidava un incarico ad altri, lo considerava come non
attuato: non c'era niente cui non intervenisse direttamente, cui non fosse
presente, cui non vigilasse senza risparmio. Sapeva sopportare il freddo,
la sete, la fame. 17 Era così risoluto, temerario, spregiudicato, astuto,
prudente nei delitti e cauto nelle azioni disperate che, se non lo avessi
tenuto lontano dagli intrighi interni e costretto a una guerra da banditi
(sarò sincero, Quiriti), difficilmente avrei allontanato dal vostro capo
una tal mole di mali! Lui non ci avrebbe condannati per il giorno dei
Saturnali, non avrebbe reso nota con tanto anticipo la data della fine
dello Stato, non avrebbe fatto cadere in mano nostra sigilli e lettere a
prova inconfutabile del suo crimine! Ora che non è qui, la crisi è stata
controllata in modo tale che in una casa privata non abbiamo mai scoperto
un furto con tanta evidenza come è stata scoperta e colta in flagrante
questa pericolosa congiura contro lo Stato. Se Catilina fosse rimasto a
Roma sino a oggi, benché io sia intervenuto a oppormi a tutti i suoi
piani, finché era qui, avremmo dovuto comunque affrontarlo, a dir poco, e
non avremmo liberato lo Stato da enormi pericoli con tanta tranquillità,
calma, silenzio, avendolo come nemico dentro la città.
VIII 18 Eppure, Quiriti, da come ho condotto la vicenda sembra che siano
intervenuti gli dèi immortali a disporla e a risolverla con la loro
volontà e saggezza. Se ci riflettiamo possiamo convincercene, perché
sembra davvero difficile che la mente umana sia in grado di governare
fatti tanto complessi. Ma gli dèi, standoci accanto in tali circostanze,
ci hanno offerto aiuto e protezione al punto che potevamo quasi vederli
con i nostri occhi. Non intendo parlarvi di fenomeni come meteore apparse
di notte a illuminare a occidente il cielo; non voglio ricordare fulmini e
terremoti, né parlare di altri fatti che si sono verificati con frequenza
durante il mio consolato e che sembravano quasi il preannuncio divino
degli eventi capitati ora. Un episodio, Quiriti, non va taciuto né
dimenticato. Ve lo racconto. 19 Ricordate sicuramente che, durante il
consolato di Cotta e di Torquato, alcuni fulmini hanno colpito vari
monumenti sul Campidoglio, le immagini degli dèi sono state rovesciate, le
statue degli antichi eroi abbattute, le tavole bronzee delle leggi fuse ed
è stata danneggiata, sul Campidoglio, anche la stuata d'oro del fondatore
della nostra città, Romolo, che, come rammentate, è raffigurato bambino
mentre tende le labbra alle mammelle della lupa. In quell'occasione gli
aruspici, fatti venire dall'intera Etruria, ci dissero che stavano per
verificarsi stragi, incendi, la fine delle leggi, una guerra civile, la
caduta di Roma e dell'impero, a meno che gli dèi immortali, placati in
ogni modo, non avessero interceduto a piegare con la loro potenza quasi il
destino stesso. 20 In seguito alle loro profezie, abbiamo celebrato giochi
per dieci giorni senza trascurare niente che potesse placare gli dèi. Gli
aruspici ci consigliarono anche di costruire una statua di Giove di
dimensioni maggiori e di collocarla in alto e, contrariamente al passato,
di volgerla a oriente. Speravano che se la statua, che vedete, avesse
guardato verso il sorgere del sole, verso il Foro e la Curia, le manovre
ordite nell'ombra contro Roma e l'impero sarebbero state messe in luce
così chiaramente da risultar visibili al Senato e al popolo di Roma. Quei
consoli hanno disposto così l'erezione della nuova statua, ma i lavori
sono stati così lenti che essa non è stata collocata né dai consoli che mi
hanno preceduto né da me prima di oggi.
IX 21 Chi dunque, Quiriti, può essere tanto lontano dal vero, tanto
sconsiderato, tanto insensato da negare che tutto ciò che cade sotto la
nostra vista e in particolare Roma siano governati dalla volontà, dalla
potenza degli dèi immortali? Quando, infatti, si prediceva che venivano
preparate stragi, incendi, la fine della repubblica, e questo per
iniziativa di cittadini, ad alcuni tali crimini apparivano troppo grandi
per essere credibili. Ma ora avete appurato che tali delitti sono stati
non solo ideati da cittadini esecrabili, ma addirittura messi in opera! E
non è un segno così evidente, da sembrare un'espressione della volontà di
Giove Ottimo Massimo, il fatto che questa mattina, mentre i congiurati e i
loro accusatori venivano tradotti al tempio della Concordia per il Foro,
come avevo ordinato, in quel momento veniva posta la statua? Non appena è
stata collocata e rivolta verso di voi e il Senato, avete visto che tutti
gli intrighi orditi contro il bene della collettività sono stati scoperti
e messi in luce. 22 Ecco perché meritano ancor più l'odio e la morte
questi individui che non solo hanno cercato di appiccare fiamme empie e
funeste alle vostre case, alle vostre abitazioni, ma anche ai templi, ai
santuari degli dèi.
Se dicessi di averli fermati io, sarei presuntuoso, atteggiamento
imperdonabile. È stato Giove a fermarli, lui solo! Giove ha voluto salvare
il Campidoglio, i templi, la città intera, voi tutti! Guidato dagli dèi
immortali, io mi sono limitato a prendere decisioni e sono arrivato a
disporre di prove schiaccianti. In verità, la corruzione degli Allobrogi
non sarebbe stata tentata, né Lentulo e gli altri nemici dello Stato
avrebbero dato con tanta sconsideratezza informazioni della massima
importanza a degli sconosciuti, a dei barbari, e consegnato loro delle
lettere, se gli dèi immortali non avessero privato del senno uomini così
temerari. Che dire di più? Se dei Galli appartenenti a un popolo non del
tutto sottomesso (l'unico rimasto che è forse in grado di dichiarare
guerra ai Romani e non sembra escluderlo) hanno rinunciato a sperare
nell'indipendenza e in altri considerevoli vantaggi offerti loro dai
patrizi e hanno anteposto la vostra salvezza ai loro interessi, ebbene,
non credete forse che questo sia avvenuto per volontà divina, quando
invece avrebbero potuto vincerci senza combattere, solo tacendo?
X 23 E allora, Quiriti, festeggiate questi giorni con le vostre mogli e i
vostri figli, dal momento che sono state decise cerimonie di
ringraziamento in ogni tempio! Spesso abbiamo tributato onoranze agli dèi
immortali, giustamente, sì, ma mai come ora. Infatti, siete stati
strappati alla fine più crudele e più orribile, strappati senza morti,
senza sangue, senza eserciti, senza combattimenti. Con la toga avete
vinto, grazie a uno solo, a me, comandante in toga. 24 Ricordate infatti,
Quiriti, tutte le guerre civili, non solo quelle di cui avete sentito
parlare, ma anche quelle di cui voi stessi serbate memoria e cui avete
assistito. Lucio Silla uccise Publio Sulpicio, [cacciò da Roma] Caio
Mario, il difensore di Roma, molti uomini valorosi in parte li bandì e in
parte li eliminò. Il console Cneo Ottavio espulse dalla città, con la
forza delle armi, il suo collega; tutto lo spazio che avete sotto gli
occhi fu pieno di cadaveri ammassati uno sull'altro e del sangue dei
cittadini. Poi Cinna ebbe il potere con Mario; allora, davvero, furono
eliminati gli uomini più in vista, furono spente le luci della città. In
seguito Silla si vendicò della ferocia di questa vittoria. Non starò a
dire con quante perdite tra i cittadini e con quanta rovina per lo Stato.
Marco Lepido entrò in conflitto con Quinto Catulo, uomo che si distingueva
per fama e valore; non fu tanto la sua morte ad arrecar dolore allo Stato,
quanto quella dei suoi. 25 Eppure, tutte queste lotte non miravano a
distruggere lo Stato, ma a cambiarlo. Non si voleva abbatterlo, ma
primeggiare in uno Stato vivo, non si voleva dare alle fiamme Roma, ma
distinguersi in Roma. [E tutte queste lotte, di cui nessuna intendeva
annientare lo Stato, furono tali da risolversi non con il ristabilimento
della concordia sociale, ma con l'uccisione dei cittadini.] Invece, in
questa guerra, l'unica a memoria d'uomo ad essere così vasta e feroce e
tale che nessun popolo barbaro l'ha mai mossa contro la sua gente, una
guerra in cui Lentulo, Catilina, Cetego e Cassio hanno stabilito di
annoverare tra i nemici tutti gli uomini la cui salvezza avrebbe
consentito di salvare lo Stato, ebbene, Quiriti, in questa guerra io mi
sono mosso per assicurare a voi tutti la salvezza. E anche se i vostri
nemici pensavano che sarebbero sopravvissuti solo quei cittadini che
fossero scampati a una strage infinita e quella parte di città che si
fosse sottratta alle fiamme, io ho salvato Roma, io ho salvato la
cittadinanza!
XI 26 A ricompensa della mia opera, Quiriti, non vi chiedo nessun premio
al valore, nessuna dimostrazione di onore, nessuna testimonianza di lode,
ma solo che sia eterno il ricordo di questa giornata. È dentro il vostro
cuore che desidero che siano riposti e conservati i miei trionfi, tutte le
attestazioni di onore, le testimonianze di gloria, i riconoscimenti di
stima! Nessuna cosa che sia muta, priva di parola può darmi gioia, insomma
niente che uomini anche meno degni potrebbero ottenere. Sarà il vostro
ricordo, Quiriti, ad alimentare la mia impresa, la parola a farla
crescere, le opere letterarie ad accompagnarla negli anni e a renderla
grande. Penso che l'esistenza di Roma e il ricordo del mio consolato
vivranno insieme per lo stesso tempo, spero per l'eternità. E penso
altresì che siano vissuti nel nostro Stato, nella stessa epoca, due uomini
dei quali uno ha esteso i confini del vostro impero non sulla terra, ma
nelle regioni celesti, l'altro ha salvato la sede dell'impero.
XII 27 Ma dal momento che, dopo tutto quello che ho fatto, la mia
posizione è ben diversa da chi ha combattuto all'estero, perché io devo
vivere a fianco di coloro che ho vinto e domato e non mi lascio alle
spalle nemici morti o ridotti all'impotenza, è vostro dovere, Quiriti,
provvedere affinché un domani il mio operato non si ritorca contro di me,
quando gli altri traggono profitto dalle loro imprese. Io ho provveduto
perché non vi nuocessero i piani scellerati e nefandi degli individui più
temerari. Ora sta a voi provvedere alla mia incolumità. È pur vero,
Quiriti, che nessuno di costoro è in grado di nuocermi. Perché è grande la
protezione che viene dagli onesti: me la garantiranno in ogni momento.
Grande è l'autorità dello Stato: tacita, mi difenderà per sempre. Grande è
la forza della coscienza: chi la trascurerà volendo nuocermi, denuncerà se
stesso. 28 Non sono abituato a cedere di fronte alla temerarietà di
nessuno, Quiriti: al contrario sono io che sfido incessantemente chiunque
sia colpevole. E se l'attacco dei nemici interni, che ho stornato da voi,
dovesse ricadere su me solo, starà a voi, Quiriti, decidere quale sorte
volete riservare a chi si è esposto all'impopolarità e a pericoli di ogni
sorta per la vostra salvezza. Quanto a me, quali vantaggi potrei ancora
conseguire se nelle cariche pubbliche, che siete voi a concedere, e nella
gloria, che dipende dal merito personale, non c'è nulla di più alto cui io
possa aspirare? 29 Il mio obiettivo, Quiriti, quando tornerò ad essere un
privato cittadino, sarà di difendere e di consolidare il mio operato di
console in modo che se, nel tutelare le istituzioni, mi sono attirato
dell'impopolarità, questa ricada sui miei oppositori e arrechi a me
gloria. Per finire, la mia condotta politica sarà tesa a non smentire la
mia impresa: cercherò di non farla sembrare casuale, ma frutto del mio
valore.
Cala la notte, Quiriti. Dopo aver pregato Giove, protettore vostro e di
questa città, tornate alle vostre case e continuate a difenderle con turni
di guardia come la notte passata, anche se il pericolo è ormai
scongiurato. Che non dobbiate farlo troppo a lungo e che possiate vivere
per sempre in pace, sarà compito mio, Quiriti.


CONTRO L. CATILINA IV


I 1 Vedo, padri coscritti, che il volto, gli sguardi di voi tutti si sono
rivolti a me. Vedo che siete preoccupati non solo del pericolo che
minaccia voi e lo Stato, ma, se questo è stato scongiurato, del pericolo
che corro io. La simpatia che mi mostrate mi è cara, nei mali, e gradita,
nel dolore. Ma, per gli dèi immortali, rinunciatevi! Dimenticate la mia
salvezza! Pensate a voi e ai vostri figli! Se mi è stata affidata la
carica di console perché sopportassi sino in fondo ogni amarezza, ogni
dolore, ogni strazio, vi farò fronte con coraggio, ma addirittura con
gioia, purché i miei sforzi procurino prestigio e salvezza a voi e al
popolo romano. 2 Io, padri coscritti, sono quel console per il quale né il
Foro, sede suprema della giustizia, né il Campo Marzio, consacrato dagli
auspici consolari, né la Curia, protezione sovrana di tutti i popoli, né
la casa, rifugio di ogni essere umano, né il letto, destinato al riposo, e
neppure, infine, questa [sedia curule] prerogativa della mia carica, sono
stati mai esenti da pericoli e da insidie mortali. Ho taciuto molto. Ho
sopportato molto. Ho concesso molto. Ho risanato molto col mio dolore,
mentre voi vivevate nella paura. Ora, se gli dèi immortali hanno voluto
che portassi a termine il consolato strappando voi e il popolo romano a un
orrendo massacro, le vostre mogli, i vostri figli e le vergini Vestali a
oltraggi inauditi, i templi, i santuari e questa nostra patria bellissima
alle fiamme più deleterie, l'Italia intera alle devastazioni della guerra,
ebbene, affronterò tutto quel che la sorte vorrà riservarmi! Se infatti
Publio Lentulo, credendo ai vati, ha ritenuto che il suo nome fosse
predestinato alla rovina dello Stato, perché non dovrei compiacermi del
fatto che il mio consolato sia stato, per così dire, predestinato alla
salvezza del popolo romano? II 3 Quindi, padri coscritti, provvedete a voi
stessi! Pensate al futuro della patria! Salvate la vostra vita, quella
delle vostre mogli, dei vostri figli, salvate le vostre proprietà!
Difendete la gloria e il futuro del popolo romano! Smettete di
preoccuparvi, di darvi pensiero per me! In primo luogo, infatti, voglio
sperare che tutti gli dèi che proteggono Roma mi ricompenseranno secondo i
miei meriti. Poi, se dovesse capitarmi qualcosa, saprò morire con animo
preparato e sereno: la morte non può essere vergognosa per il valoroso, né
prematura per chi è stato console, né triste per il saggio. Tuttavia non
sono così di ferro da restare insensibile all'angoscia del mio caro e
affezionato fratello, qui presente, e alle lacrime di tutti coloro che mi
vedete intorno. Né la mia mente si astiene dal tornare spesso a casa,
richiamata da mia moglie, completamente prostrata, da mia figlia,
sconvolta dalla paura, dal mio piccolo figlio, che mi sembra stretto tra
le braccia della repubblica come ostaggio per il mio operato di console, e
infine da mio genero, che sta qui davanti ad aspettare l'esito di questa
giornata. Tutto ciò mi procura ansia, un'ansia che mi spinge però a voler
salvare tutti loro insieme a voi, anche a costo della mia vita, piuttosto
che morire noi e loro nella distruzione dello Stato.
4 Allora, padri coscritti, date tutto il vostro appoggio alla salvezza
dello Stato! Guardate quali tempeste si abbatteranno su di voi, se non
correrete ai ripari! Non è chiamato in causa, non è sottoposto alla
severità del vostro giudizio un Tiberio Gracco, per aver aspirato alla
rielezione di tribuno della plebe, né un Caio Gracco, per aver cercato di
portare alla rivolta gli agrari, né un Lucio Saturnino, per aver ucciso
Caio Memmio. Nelle nostre mani ci sono uomini che sono rimasti a Roma per
scatenare incendi, per uccidervi tutti, per accogliere Catilina. Nelle
nostre mani ci sono lettere, sigilli, scritture, infine la confessione di
ciascuno di loro. Qui si tratta di collusione con gli Allobrogi e di
rivolte servili; si richiama Catilina, si decide di eliminarvi tutti
perché non rimanga nessuno a piangere il nome del popolo romano e a
compatire le sventure di un impero così vasto. III 5 Tutto questo è stato
riferito dagli informatori, ammesso dagli accusati, giudicato da voi con
molte deliberazioni, in un primo momento quando mi avete manifestato la
vostra gratitudine con straordinari elogi e avete dichiarato che, grazie
alle mie capacità e alla mia solerzia, era stata scoperta la congiura di
questi uomini perduti; poi, quando avete costretto Publio Lentulo a
dimettersi dalla carica di pretore; in seguito, quando avete deciso di
arrestare Lentulo e gli altri che avete giudicato colpevoli; ma,
soprattutto, quando avete decretato una cerimonia di ringraziamento a mio
nome, onore che nessun civile aveva ricevuto prima di me; infine ieri,
quando avete dato ingenti ricompense agli ambasciatori degli Allobrogi e a
Tito Volturcio. In seguito a tali iniziative, l'impressione è che gli
uomini nominatamente messi agli arresti siano già stati condannati da voi
senza esitazione.
6 Tuttavia ho deciso di riferire a voi, padri coscritti, come se la
questione fosse ancora impregiudicata e chiedervi di pronunciarvi sul
reato e di stabilire la pena. Premetterò solo quel che è di pertinenza a
un console. Già da tempo vedevo che nello Stato si agitavano ampi
fermenti, si andavano preparando rivolte e covavano sciagure. Ma che
fossero dei cittadini a tramare una congiura così estesa, così esiziale,
non l'avrei mai creduto! Ora, qualunque cosa accada, qualunque sia
l'orientamento del vostro pensiero e del vostro giudizio, dovete decidere
prima di notte. Vedete l'enormità del crimine su cui dovete esprimervi. Se
credete che i complici siano pochi, commettete un grave errore. Il male si
è propagato più di quanto si pensi. Si è diffuso non solo in Italia, ma
addirittura ha valicato le Alpi e, serpeggiando nell'ombra, ha invaso già
molte province. Sarebbe assolutamente impossibile schiacciarlo con
ulteriori rinvii. Qualunque misura decidiate, dovete far giustizia presto!
IV 7 Vedo che, sinora, sono due le proposte avanzate. Decimo Silano
sostiene che bisogna condannare a morte chi ha cercato di distruggere lo
Stato. Caio Cesare, invece, respinge la pena di morte e propone tutta la
durezza di ogni altro castigo. Entrambi, come conviene alla loro carica e
alla gravità dei reati in causa, fanno appello al massimo rigore. Il primo
ritiene che neppure per un istante devono vivere e respirare la nostra
stessa aria individui che hanno cercato di eliminare tutti noi, di
cancellare l'impero, di estinguere il nome del popolo romano e ricorda che
questo tipo di pena fu spesso comminata, nel nostro Stato, a cittadini
colpevoli. Il secondo è dell'opinione che gli dèi immortali hanno creato
la morte non perché fosse una punizione, ma una necessità naturale e una
cessazione di travagli e miserie. Per questo i saggi l'hanno sempre
affrontata senza rimpianto e i valorosi spesso con gioia. Il carcere,
invece, in particolare l'ergastolo, è stato istituito come pena
eccezionale per i reati più empi. Cesare suggerisce che i colpevoli siano
confinati in municipi diversi. Tale proposta comporta tuttavia
un'ingiustizia, se la imponiamo ai municipi, e una difficoltà, se
chiediamo il loro consenso. Ma qualora ne siate convinti, approvatela. 8
Da parte mia cercherò e, come spero, troverò chi non ritenga incompatibile
con la sua dignità accogliere provvedimenti presi per il bene comune.
Cesare aggiunge pesanti sanzioni contro i municipi nel caso in cui uno dei
prigionieri riesca a fuggire; circonda così i rei di una sorveglianza
spietata, degna di un reato commesso da uomini perduti; suggerisce poi che
né il Senato, né il popolo romano possano mitigare la pena dei condannati.
Li priva così anche della speranza, la sola che, di solito, consola l'uomo
nelle sciagure. Propone inoltre la confisca dei beni: solo la vita lascia
a questi criminali. Se gliel'avesse tolta, in un attimo li avrebbe
liberati da molte sofferenze morali e fisiche e da tutti i castighi per i
loro delitti. È proprio per suscitare nei malvagi una sorta di terrore,
finché fossero vivi, che i nostri antenati hanno voluto che nell'aldilà ci
fossero supplizi per i colpevoli, perché si rendevano conto che non si
avrebbe avuto paura di una morte senza punizioni.
V 9 Ora, padri coscritti, so bene cosa mi convenga. Se seguirete il parere
di Caio Cesare, per il fatto che egli segue il gruppo politico detto
democratico, probabilmente dovrò aver meno timore degli attacchi dei
democratici, essendo lui il promotore e il sostenitore di questa proposta.
Se invece voterete la proposta di Silano, potrei andare incontro a
difficoltà maggiori. Ma l'importante è che l'interesse dello Stato
prevalga sulla considerazione dei pericoli personali. Abbiamo infatti da
parte di Cesare, così come richiede il suo rango e la nobiltà dei suoi
antenati, una proposta che è garanzia della sua incrollabile devozione
allo Stato. È evidente quale differenza intercorra tra la superficialità
dei demagoghi e uno spirito davvero democratico, tutto teso al bene del
popolo. 10 Vedo, comunque, che non pochi di coloro che si spacciano per
democratici sono assenti, evidentemente per evitare di dare un giudizio
sulla condanna a morte di cittadini romani. Eppure, questi «democratici»
solo l'altro ieri hanno fatto arrestare dei cittadini romani, hanno
approvato una cerimonia di ringraziamento in mio onore e, ieri, hanno
ricompensato con la massima generosità i nostri informatori. Chi ha
approvato l'arresto dei colpevoli, il rito di ringraziamento per il
magistrato istruttore e le ricompense per gli accusatori si è già espresso
su tutta la vicenda e sulla causa, nessuno può dubitarne! Ma Cesare sa che
la legge Sempronia è stata promulgata a riguardo dei cittadini romani e
che chi è nemico dello Stato perde completamente i diritti civili; sa,
infine, che il promotore della legge Sempronia è stato condannato, per
reati politici, senza appello al popolo. E non pensa che lo stesso
Lentulo, nonostante la sua straordinaria generosità, possa ancora
chiamarsi "democratico" dal momento che ha meditato con tanta ferocia, con
tanta crudeltà la rovina del popolo romano e la fine di Roma. E allora
Cesare, da uomo così mite e indulgente, non esita a gettare Publio Lentulo
nel buio eterno di una prigione e impone che, in futuro, nessuno possa
vantarsi di aver mitigato il supplizio di Lentulo e farsi chiamare ancora
"democratico", quando si tratta della rovina del popolo romano. Propone
inoltre la confisca dei beni, perché a ogni sofferenza fisica e morale
sopraggiunga la miseria.
VI 11 Perciò, se accoglierete questa proposta, mi darete come alleato in
assemblea un uomo che gode del massimo favore popolare. Se, al contrario,
preferirete seguire il parere di Silano, il popolo romano ci libererà
facilmente dall'accusa di crudeltà ed io dimostrerò che è la decisione di
gran lunga più mite. Del resto, padri coscritti, si può essere crudeli nel
punire un crimine tanto feroce? Io giudico sulla base di quel che sento.
Che io possa, allora, gioire con voi della salvezza dello Stato se è vero
che, in questa vicenda in cui mi mostro così impetuoso, non sono mosso da
spietatezza (chi è più mite di me?), ma da un profondo senso di umanità e
di pietà! Mi sembra infatti di vedere questa città, luce del mondo e scudo
di ogni popolo, crollare di colpo in mezzo alle fiamme; nell'animo mi
raffiguro, in una patria sepolta, miseri e insepolti cadaveri di cittadini
buttati uno sull'altro; ho davanti agli occhi la figura di Cetego e il suo
delirio di forsennato sui vostri corpi. 12 Ma quando immagino Lentulo
signore assoluto di Roma (lui stesso ha confessato di aspettarselo dal
destino) e Gabinio suo dignitario, quando immagino Catilina qui, in città
col suo esercito, allora sono sconvolto di fronte ai lamenti delle madri,
alla fuga di fanciulle e bambini, alla violenza sulle vergini Vestali! Lo
strazio, la pietà di queste immagini mi ispirano un comportamento duro,
inflessibile verso chi avrebbe voluto tradurle in realtà! Del resto mi
chiedo: se un padre scopre che un servo gli ha ucciso i figli, trucidato
la moglie, bruciato la casa, se questo padre non condanna il servo alla
pena più severa, vi sembrerebbe clemente e pietoso o l'essere più disumano
e crudele? Per me, in verità, è inclemente e duro come il ferro chi non
cerca di lenire il proprio dolore e il proprio tormento con il dolore e il
tormento di chi è colpevole. Allo stesso modo saremo considerati pietosi
solo se in noi non ci sarà ombra di cedevolezza verso questi uomini che
hanno voluto trucidare noi, le nostre mogli e i nostri figli, che hanno
tentato di radere al suolo le case di ciascuno di noi e la sede di tutto
lo Stato, che si sono proposti di insediare gli Allobrogi sui resti della
nostra città e sulla cenere di un impero annientato. Ma se vorremo
mostrarci troppo indulgenti, saremo inevitabilmente accusati di essere
oltremodo crudeli, perché è in ballo la sopravvivenza della patria e della
cittadinanza. 13 O forse qualcuno, l'altro ieri, ha giudicato troppo
crudele un uomo così coraggioso e devoto allo Stato come Lucio Cesare
quando ha affermato, in presenza del marito di sua sorella, donna della
massima rispettabilità, che bisognava condannarlo a morte e ha ricordato
che era stata giusta la morte, ordinata dal console, di un suo avo e
quella, in prigione, del giovane figlio di questi, inviato dal padre a
trattare? Avevano compiuto azioni paragonabili alle attuali? Volevano
distruggere lo Stato? Allora si trattava di richieste di largizioni e di
conflitti tra le parti. E in quel tempo, l'antenato di Lentulo, un uomo
del massimo prestigio, combatté Gracco e restò gravemente ferito perché lo
Stato non venisse minimamente danneggiato. Lentulo, invece, per scalzare
le fondamenta dello Stato ricorre ai Galli, chiama gli schiavi alla
rivolta, fa venire Catilina, ordina a Cetego di trucidarci e a Gabinio di
eliminare tutto il resto della cittadinanza, a Cassio di incendiare la
città, a Catilina di devastare e di saccheggiare l'Italia intera! Quel che
dovete temere, a mio giudizio, è che le vostre disposizioni appaiano
troppo blande in presenza di un crimine così immane e mostruoso! Ma molto
di più dobbiamo temere di apparire crudeli verso la patria se saremo miti
nella condanna, piuttosto che duri verso i nostri peggiori nemici se
saremo inflessibili!
VII 14 Tuttavia, padri coscritti, non posso nascondere quanto sento dire.
Ci sono in giro voci che arrivano sino a me: a quanto pare, alcuni temono
che io non disponga di mezzi sufficienti per eseguire quanto voi
deciderete oggi. Ogni cosa è stata prevista, disposta, sistemata, padri
coscritti, non solo con tutto l'impegno e lo zelo di cui sono capace, ma
soprattutto grazie al desiderio del popolo romano di difendere la sua
sovranità e di conservare i beni comuni. Tutti sono venuti qui, uomini di
ogni classe, condizione, età! Pieno è il Foro, pieni i templi intorno al
Foro, piena ogni strada che porta a questo tempio. Dai tempi della
fondazione di Roma, è questa l'unica circostanza in cui tutti nutrono gli
stessi intendimenti, a eccezione di chi, accorgendosi di essere a un passo
dalla fine, ha deciso di morire insieme a tutti gli altri piuttosto che da
solo. 15 Questi individui ben volentieri li metto a parte, li separo; per
me, non vanno annoverati tra i cittadini colpevoli, ma tra i peggiori
nemici! Ma gli altri, o dèi immortali!, con che affluenza, con che impeto,
con che coraggio sono uniti in nome della salvezza e del prestigio comune!
Dovrei ricordare i cavalieri? Se cedono a voi senatori il primato del
grado e dell'autorità, non vi sono certo inferiori per devozione allo
Stato! Dopo un dissenso durato molti anni hanno ritrovato l'unione e la
concordia con voi: la giornata di oggi e la causa presente li rendono
vostri alleati! Se riusciremo a conservare per sempre l'unione politica
che si è rafforzata sotto il mio consolato, vi assicuro che in futuro
nessuna crisi politica colpirà lo Stato in nessuna delle sue parti. Con lo
stesso impeto vedo che sono accorsi per difendere lo Stato i tribuni
dell'erario, uomini di straordinario valore. In modo analogo tutti gli
scribi, che oggi si trovavano per caso nell'erario, hanno tralasciato le
operazioni di sorteggio per votarsi alla salvezza comune. 16 Sono presenti
in massa tutti i liberi, anche i più umili. C'è qualcuno a cui questi
templi, il volto della città, il possesso della libertà e infine questa
stessa luce e il suolo comune della patria non ispirino piacere, ma
soprattutto un sentimento di dolcezza e di gioia? VIII È importante
conoscere, padri coscritti, la devozione dei liberti i quali,
guadagnandosi un posto nella nostra comunità con il loro valore,
considerano questa la loro vera patria, una patria che chi è nato qui e
nelle famiglie più altolocate non ha considerato tale, ma alla stregua di
una città nemica. Ma perché menziono queste classi e questi uomini che le
proprietà, l'interesse comune e infine il bene più dolce che c'è, la
libertà, hanno spinto qui a difendere la vita della patria? Non c'è
schiavo, purché viva in condizioni tollerabili, che non inorridisca di
fronte alla pazzia dei nostri concittadini, che non aspiri al mantenimento
della situazione attuale, che non contribuisca alla salvezza comune, per
quanto osi, per quanto possa. 17 Perciò, se qualcuno di voi rimane
sconcertato sentendo che un intermediario di Lentulo si aggira per negozi
con l'intenzione di far proseliti tra i bisognosi e gli sprovveduti, a
prezzo di denaro, ebbene, anche questo è stato tentato, ma non è stato
trovato nessuno che fosse di condizione così misera o di propositi così
disperati da mettere a repentaglio il posto dove siede al lavoro, dove si
guadagna da vivere, la sua stanza e il suo lettuccio, insomma da voler
compromettere il tranquillo corso della sua esistenza. In verità, la
stragrande maggioranza di chi ha un'attività in proprio, diciamo meglio
tutta questa categoria, apprezza la pace come nessun'altra. Infatti, ogni
mestiere, ogni lavoro, ogni attività si basa sull'affluenza di clienti e
si alimenta con la pace. Se l'attività diminuisce con la chiusura dei
negozi, che cosa accadrebbe se venissero incendiati?
18 In queste condizioni, padri coscritti, l'appoggio del popolo romano non
vi manca. Fate in modo che non sembri che manchiate voi al popolo. IX
Avete un console che si è salvato da innumerevoli pericoli e insidie,
addirittura dalla stretta della morte, non in nome della sua vita, ma
della vostra salvezza! Tutte le classi sono unanimi nel pensiero, nella
volontà, nella parola: vogliono conservare questo Stato. Assediata dalle
torce e dai dardi di un'empia congiura, la patria comune vi tende,
supplice, le mani. A voi si affida, a voi affida la vita di tutta la
collettività, a voi la rocca e il Campidoglio, a voi gli altari dei
Penati, a voi il fuoco eterno di Vesta, a voi i templi e i santuari di
tutti gli dèi, a voi le mura e le case della città. Inoltre, è sulla
vostra vita, sull'esistenza delle vostre mogli e dei vostri figli, sulle
proprietà di tutti, sulle case e sui focolari che oggi dovete esprimere il
vostro giudizio! 19 Avete come capo un uomo memore di voi e dimentico di
sé, facoltà che non sempre è data. Avete tutte le classi, tutti gli
uomini, l'intero popolo romano in condizioni di completa unanimità, cosa
che vediamo oggi per la prima volta in una questione di politica interna.
Pensate con quanti sforzi è stato fondato l'impero, con quanto valore è
stata assicurata la libertà, con quanta benevolenza divina sono prosperati
i nostri averi. Tutte cose che una sola notte avrebbe potuto distruggere.
Oggi dobbiamo prendere provvedimenti perché un simile tentativo non solo
non possa essere attuato, ma neppure concepito da dei cittadini. E queste
parole non le ho dette per accendervi (il vostro ardore supera del resto
il mio), ma perché la mia voce, che dev'essere ascoltata per prima negli
affari di Stato, sembri aver assolto i doveri di console.
X 20 Adesso, prima di ritornare al voto, dirò poche cose su di me. So di
essermi procurato tanti nemici quanti sono i congiurati: e sono
moltissimi, lo sapete bene. Ma è gente ignobile, vile, abietta, così li
considero. Se un giorno, aizzati dai folli disegni di un criminale,
dovessero prevalere sulla vostra autorità e su quella dello Stato, neppure
allora mi pentirò delle mie azioni e delle mie decisioni, padri coscritti.
Perché la morte, di cui essi forse ci minacciano, è stabilita per tutti,
ma nessuno ha mai ottenuto tanta gloria quanta ne avete concessa a me con
i vostri decreti. Ad altri avete tributato ringraziamenti per azioni
militari, a me per aver salvato lo Stato. 21 Sia gloria a Scipione, che
con intelligenza e valore costrinse Annibale a ritornare in Africa e a
lasciare l'Italia! Riceva lodi eccelse il secondo Africano, che cancellò
le due città più ostili al nostro impero, Cartagine e Numanzia! Abbia fama
l'illustre Paolo, il cui carro trionfale fu nobilitato dalla presenza di
Perseo, il re un tempo più potente e nobile! Sia gloria eterna a Mario,
che liberò due volte l'Italia dal pericolo di invasioni e dalla paura
della schiavitù! A tutti sia anteposto Pompeo, le cui imprese, i cui
meriti si estendono fino alle regioni e ai confini tracciati dall'orbita
del sole! Tra le lodi di questi eroi avrà senz'altro un posto anche la mia
gloria, a meno che non sia ritenuta impresa più ardua conquistare nuove
province in cui possiamo espanderci, che non tutelare, per chi è lontano,
un luogo in cui possa tornare vincitore. 22 È pur vero che sotto un certo
aspetto la vittoria all'estero è migliore della vittoria politica: i
nemici stranieri, quando sono vinti, sono asserviti, oppure, quando
ricevono dei favori, si sentono obbligati; invece chi appartiene al novero
dei cittadini, se viene fuorviato da qualche idea insensata e diventa un
nemico della patria, è impossibile piegarlo con la forza o ammansirlo con
dei favori, sempre che gli sia stato impedito di nuocere allo Stato. Ecco
perché so di aver intrapreso contro dei cittadini perduti un conflitto che
non avrà fine. Ma l'aiuto vostro e di tutti gli onesti e il ricordo di
pericoli così gravi - ricordo che vivrà per sempre non solo nel nostro
popolo, ormai salvo, ma nelle parole e nella mente di tutte le genti -
difenderanno me e i miei cari da questa guerra, ne sono sicuro. Non ci
sarà certamente una forza così grande da spezzare e dissolvere la vostra
unione con i cavalieri romani e un così unanime accordo tra tutti gli
onesti.
XI 23 A questo punto, in cambio del comando supremo, dell'esercito e della
provincia che non ho voluto, in cambio del trionfo e di altre
dimostrazioni di onore cui ho rinunciato per provvedere alla vostra
salvezza e a quella di Roma, in cambio dei rapporti di clientela e di
ospitalità nelle province, rapporti che, con le mie risorse in città
tutelo con la stessa fatica con cui li amplio, insomma, in cambio di tutti
questi vantaggi, in cambio della singolare devozione che vi ho dimostrato
e della mia solerzia nel salvare lo Stato, di cui avete testimonianza, non
vi chiedo altro se non di ricordare questo momento e tutto il mio
consolato. Finché questo ricordo rimarrà fisso nella vostra mente, riterrò
di essere protetto dal muro più saldo. E se la forza dei sovversivi
riuscisse a tradire le mie aspettative e ad avere la meglio, vi raccomando
il mio figlioletto, cui non mancherà certo la vostra protezione nella vita
e nella carriera politica, se rammenterete che è figlio di colui che ha
salvato tutto questo a rischio della sua sola esistenza. 24 Sta a voi,
adesso, prendere una decisione con la stessa solerzia e con la stessa
fermezza con cui avete iniziato: è in discussione la sicurezza vostra e
del popolo romano, la vita delle vostre mogli e dei vostri figli, gli
altari e i focolari sacri, i templi e i santuari, le case e le abitazioni
dell'intera città, l'impero e la libertà, la vita dell'Italia, lo Stato
nel suo complesso. Avete un console che non esiterà a eseguire i vostri
decreti e a difendere quanto stabilirete, finché vivrà. Egli potrà
garantire di persona.

20 commenti:

Anonimo ha detto...

Parlo a nome di tutta la qurta M, questo sito , fa proprio voltare lo stomaco. Spero tanto che lo chiudano al più presto. Grazie.

Anonimo ha detto...

lol xD

Anonimo ha detto...

gay

Anonimo ha detto...

minchia panico

francesco ha detto...

La traduzione può anche lasciare dubbi e riportare inesattezze linguistiche relativamente al testo in latino, ma dire di chiudere il sito mi sembra oltremodo esagerato ed ingiusto perchè il giudizio espresso non tiene conto che il parlato e lo scritto di oggi pone differenze evidenti con la lingua italiana attuale. Oltretutto è evidente l'ignoranza in cui ci si dibattetfra la popolazione giovanile perchè è troppo impegnata a dare valore alla cose futili e inutili del vivere attuale. Povera umanità, dove stiamo andando se non si riesce a ricordare ciò che siamo stati; addio mondo antico.Siamo una razza in via di estinzione mentalmente parlando. Se gli anonimi della quarta M riflettessero su quanto viene descritto nelle catilinarie, dalla prima riga fino all'ultima frase vedrebbero una somiglianza sull'attualità di cosa succede oggi nel mondo e in special modo nel nostro paese. Auguri di lunga vita a tutti. attualità

Anonimo ha detto...

d'accordo con franz.. ki ha da criticare cerchi un altro sito!!

Anonimo ha detto...

troppo lungo... un po di sintesi ogni tanto!

Anonimo ha detto...

ottima traduzione.... si vede che chi ha tradotto il testo ha studiato cicerone , soprattutto nella traduzione dell endiadi e dell bonorum omnium...
esistono studenti che apprezzano il latino!!!!

Anonimo ha detto...

Un po' di errori nella traduzione ci sono, ma il più grave di tutti è patres conscipti tradotto letteralmente. Patres conscripti vuol dire Senatori. Ve lo dico giusto perché voi ne prendiate nota, se ancora vi interessa il latino.

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

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